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Avvisi legali e pubblicità enti: pari dignità per l’on line

Il mondo dell’editoria cambia in fretta. E cambia sicuramente più velocemente del passo del legislatore. E’ per questo che si possono verificare, in una fase di transizione fra tradizione e modernità, dei corto circuiti di cui tutti, dagli editori a giornalisti, dagli enti pubblici ai tribunali, non possono non tenere conto. E in cui è necessario interrogarsi di come dare pari dignità all’editoria tradizionale e cartacea e a quella on line.

La questione, ad esempio, è quella della pubblicità obbligatoria degli avvisi legali di cui all’articolo 490 del codice di procedura civile. Dove si legge, in estratto, che “quando la legge dispone che di un atto esecutivo sia data pubblica notizia, un avviso contenente tutti i dati, che possono interessare il pubblico… Il giudice dispone inoltre che l’avviso sia inserito… una o più volte sui quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione nazionali e, quando occorre, che sia divulgato con le forme della pubblicità commerciale… Sono equiparati ai quotidiani, i giornali di informazione locale, multisettimanali o settimanali editi da soggetti iscritti al Registro operatori della comunicazione (Roc) e aventi caratteristiche editoriali analoghe a quelle dei quotidiani che garantiscono la maggior diffusione nella zona interessata”. Un testo che pone molti interrogativi. In particolare sulla definizione della “maggiore diffusione nella zona interessata”. Fino ad oggi, infatti, la risposta è stata semplice. Ci si basava sulla tiratura dei quotidiani locali cartacei e tanto poteva bastare per giustificare la pubblicazione di tali avvisi su questo o quel giornale. Ma la vicenda si è fatta, da qualche anno, decisamente più complessa con l’avvento dei quotidiani on line e con l’affiancamento dell’on line al cartaceo anche nell’editoria tradizionale. Nell’on line, a differenza che nel cartaceo, dove al di là della tiratura si parla di “lettori presunti” sulla base della diffusione nei bar, negli enti pubblici, nelle rassegne stampa e nelle famiglie, esistono dati certificati di letture e visite, di pagine e di contatti, che molto più facilmente potrebbero rispondere alla domanda che sottende al testo della legge. Ovvero quali sono i quotidiani (che abbiano le caratteristiche richieste dalla legge fra cui registrazione al tribunale e iscrizione al Roc) a maggiore diffusione in ambito locale (o nazionale, fa lo stesso).
Insomma, che siano avvisi di esproprio o sentenze di cui è richiesta la pubblicazione per estratto o altri avvisi legali la prassi per cui la pubblicazione (e il conseguente stanziamento economico di soldi pubblici) è data per scontato su determinate testate e sempre sull’editoria tradizionale, va in qualche modo superata. Perché come tutte le prassi è destinata a modificarsi quando cambia lo scenario su cui insiste.
E non è solo il caso delle pubblicità legali. Anche gli enti pubblici, molti enti pubblici, che decidono di pubblicizzare i loro eventi, manifestazioni e quant’altro adottano ormai da tempo determine standard. Nelle quali, senza porsi più il problema della diffusione e delle dinamiche di mercato, i fondi (pochi o tanti che siano) vengono stanziati a quattro o cinque soggetti non scelti con criteri specifici ma “ereditati” da precedenti determine “copia e incolla”. E di media, almeno nella provincia di Lucca, vanno a due quotidiani cartacei (tre se è prevista una pubblicazione regionale), una radio e una televisione locali. L’on line? Dimenticato, salvo che si tratti di campagne particolari (gli eventi di Natale, l’evento non inserito nel calendario mensile o la convocazione urgente) e senza mai porsi il problema dell’attualità e dell’efficacia della scelta.
E che non ci sia alcuna differenza, e per esteso non ci possa essere differenza di trattamento da parte di chi gestisce la cosa (e il denaro) pubblico, lo conferma anche una recente sentenza della Cassazione, la 31022 del 29 gennaio 2015. Laddove, in un passo della sentenza, afferma che “…il giornale telematico, sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. È, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; è registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hosting provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il Roc”. Il tutto per garantire il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione “evitando il rischio di riservare – dice sempre la Cassazione – al di là di qualsiasi ragionevolezza, trattamenti differenziati a due fattispecie praticamente identiche sotto il profilo della loro funzionalità”.
E allora anche se la prassi, finora, ha portato ad altri e diversi esiti, è il caso di interrogarsi, come categoria, ma anche come “committente” su come garantire, in uno scenario radicalmente cambiato, questo principio di uguaglianza. Che, inutile negarlo, significherebbe anche capacità di sostentamento per tutte quelle testate on line nate negli ultimi anni e che hanno assorbito, anche a livello occupazionale, molti dei giornalisti usciti dal mercato del lavoro proprio per la crisi dell’editoria tradizionale.
Il dibattito è aperto, ora urgono risposte.

 

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