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Al Santo Stefano di Prato i pazienti Covid possono ricevere la visita di un familiare

Progetto pilota: "La vicinanza aiuta la terapia"

La vicinanza di un familiare aiuta la terapia. All’ospedale Santo Stefano di Prato un progetto pilota per l’umanizzazione delle cure: i pazienti dell’area Covid possono ricevere la visita di un familiare.

Una buona notizia che arriva nel periodo delle festività Natalizie, un dono per chi sta soffrendo e sta affrontando la malattia negli ospedali e nelle altre strutture di ricovero durante la pandemia da Covid-19 che ha reso ancora più evidente quanto sia importante ricevere la vicinanza e l’affetto dei propri cari.

Una recentemente delibera della Regione Toscana ha previsto la possibilità per pazienti ricoverati in ospedale, nelle case di cura e nelle residenze sanitarie assistenziali di ricevere visite da parte dei loro familiari, nel rispetto delle norme anti Covid.

Il provvedimento regionale, formulato sulla base delle proposte del tavolo tecnico coordinato dal presidente della commissione regionale di bioetica e promosso dall’associazione Tutto è vita onlus, tiene conto che la vicinanza è parte del processo di cura in un approccio alla malattia che deve essere globale. La vicinanza delle persone sofferenti ai propri affetti, si legge nel documento, costituisce un presupposto importante del processo di cura la cui interruzione, sebbene motivata da indiscutibili ragioni di sicurezza, comporta rischi per la salute e per il benessere delle persone ricoverate.

La solitudine è una situazione terribile per tutti ma in particolare per chi è ammalato. E’ proprio questo il punto centrale da cui è partito nell’ospedale Santo Stefano il progetto pilota per portare conforto a chi si trova ad affrontare il Covid.

Garantire il diritto al controllo dei sintomi di sofferenza e la pianificazione delle cure sono aspetti fondamentali che riguardano tutti i pazienti ricoverati in ospedale. Nel progetto sono state studiate soluzioni concrete e flessibili da adottare per ogni ricoverato con una malattia life threatening (pericolosa per la vita) in ogni contesto di cura ed in ogni setting ospedaliero. L’obiettivo è stato quello di migliorare le condizioni dei pazienti ricoverati, in particolare in alcuni casi selezionati e di complesso approccio attraverso il supporto di una èquipe multi professionale di riferimento e con il sostegno dei volontari coinvolti nella progettualità.

Per le persone affette da gravi patologie o con prognosi infausta a breve termine è garantita una presa in carico congiunta con l’unità di cure palliative in modo da accompagnare la persona nel percorso di cura fino al termine della vita con un approccio globale che tenga conto degli aspetti sanitari, psicologici, sociali e spirituali.

La direzione sanitaria del Santo Stefano, diretta dalla dottoressa Daniela Matarrese ha elaborato procedure specifiche e percorsi adeguati per sviluppare queste tematiche delicate e che richiedono anche la formazione degli operatori sanitari coinvolti. In questo particolare e complesso momento determinato dall’emergenza sanitaria è stata posta una particolare attenzione all’area Covid. In questi setting sono selezionati casi con caratteristiche specifiche che tengono conto delle necessità cliniche, psicologiche e sociali.

“Sono particolarmente contenta di dare l’annuncio della partenza di questo progetto, proprio in questo delicato periodo – ha detto Daniela Matarrese – è il primo di una serie di interventi che stiamo implementando nel nuovo anno e che vedrà impegnati gli operatori sanitari in un lavoro di èquipe multi professionale che valorizza tutti i soggetti coinvolti. Abbiamo voluto dare un messaggio di umanità nel combattere la solitudine di quelle persone che sono ricoverate nell’area Covid e che da tempo non hanno potuto ricevere la visita dei propri cari, sentire la loro vicinanza ed il loro amore”.

Proprio in questi giorni di festività è stato possibile organizzare la visita ad un paziente nell’area Covid da parte di un familiare garantendo massima attenzione alle procedure di sicurezza per la tutela della salute di tutti. La procedura attivata dalla direzione sanitaria ha previsto l’ingresso del parente, accompagnato dagli operatori sanitari dopo un colloquio nel corso del quale sono state fornite tutte le informazioni relative alle norme di sicurezza, l’uso corretto dei dispositivi individuali da indossare, le norme sanitarie da osservare e dopo aver acquisito il consenso informato. Durante la visita di 15 minuti il personale ha supportato per ogni eventuale necessità il familiare. E’ stato un primo passo al quale ne seguiranno altri con l’augurio di diffondere, in questo momento di rispetto delle regole di chiusura, imposte per ridurre i rischi del contagio da Covid-19, un contagio positivo con misure che favoriscono la relazione affettiva con le persone ammalate che tanto effetto ha sulla loro salute.

Il gruppo di lavoro multi professionale che ha elaborato le procedure è coordinato dalla dottoressa Elettra Pellegrino, medico della direzione sanitaria e composto dal dottor Filippo Risaliti, medico area Covid, dottoressa Donatella Aquilini direttore malattie infettive, dottoressa Daniela Ammazini direttore assistenza infermieristica, dottoressa Luisella Litta, responsabile assistenza infermieristica di Prato, dottoressa Daniela Accorgi, infermiere coordinatore Igiene ospedaliera. Il gruppo di lavoro è supportato dalla dottoressa Sabrina Pientini, direttore Cure Palliative di Prato e Pistoia e dall’Associazione “Tutto è Vita Onlus” rappresentata da Guidalberto Bormolini.

“La delibera della Regione Toscana e le buone pratiche che l’ospedale Santo Stefano di Prato stanno realizzando sono qualcosa di profetico che speriamo possa contagiare positivamente l’intero Paese –ci tiene a sottolineare Guidalberto Bormolini. Riconoscere la vicinanza, la rilevanza dei bisogni esistenziali e spirituali come parte del processo di cura è un passo importante nella direzione di una cura integrale che prenda in carico l’essere umano in tutte le sue dimensioni. Grazie all’ospedale e alla Regione che hanno avuto il coraggio di riconoscere che il necessario impegno per non diffondere il contagio da Covid-19 non si contrappone ma si integra che tutti gli altri aspetti della cura che sono così necessari per lenire le ferite inflitte all’intero paese da questa terribile pandemia. È l’umanità che è ferita, è quindi solo una cura umanizzata può dare sollievo.”

“Questo progetto –  ha sottolineato Elettra Pellegrino – può essere implementato proprio in questo momento, grazie all’esperienza che abbiamo maturato in questi mesi, esperienza che ha aumentato l’attenzione su aspetti importanti come il corretto uso dei dispositivi di protezione individuale e che ha aumentato la sensibilità sul coinvolgimento dei familiari/caregiver sui processi di cura, spesso lunghi e impegnativi.

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