Il tradimento on-line non è causa di addebito della separazione

L’avvento dei social network ha modificato profondamente la nostra società, aumentando esponenzialmente le occasioni per conoscere nuove persone e mantenere con loro rapporti virtuali, vissuti spesso nella clandestinità. Questa dinamica ha influenzato anche la vita familiare, ed un numero sempre crescente di matrimoni è entrato in crisi, proprio in conseguenza della scoperta da parte di un coniuge della relazione intrecciata on-line dall’altro.

In tali situazioni, molto spesso i coniugi imboccano la strada della separazione giudiziale e buona parte delle liti davanti ai tribunali vertono sull’addebito. Ovvero sull’attribuzione al partner fedifrago della responsabilità della fine della vita matrimoniale, con le conseguenze che ciò comporta: in particolare la perdita del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento e dei diritti ereditari. Recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14414 del 14 luglio 2016, è stata chiamata a pronunciarsi proprio su un caso analogo, in cui il marito, tra le altre cose, aveva richiesto che la separazione venisse addebitata alla moglie, che aveva intrapreso una relazione extraconiugale on-line. Tale domanda, rigettata in primo grado ed in appello, è stata riproposta dal marito anche in sede di legettimità e la Suprema Corte ha valutato corretta la decisione dei giudici di secondo grado, ritenendo di non modificarla sul punto. In particolare, gli ermellini hanno ritenuto che la relazione intrecciata da uno dei coniugi sul web non è un elemento sufficiente per addebitare a questi la fine del matrimonio, qualora manchi la prova che la storia virtuale sia stata la causa del fallimento del matrimonio. Infatti, per l’addebito non basta la sola violazione dei doveri coniugali prevista a carico dei coniugi, ma occorre verificare se la trasgressione online abbia avuto un’incidenza causale nel determinare la crisi della coppia. In sostanza è necessario verificare se essa abbia assunto efficacia causale nel rendere impossibile la prosecuzione della vita matrimoniale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Nel caso concreto la Corte di Cassazione, in base a quanto accertato nei due precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto che la relazione virtuale della moglie non fosse l’elemento da cui era dipesa la fine della vita matrimoniale, che era stata invece causata da altre circostanze, tra cui – come è dato leggere nella sentenza – specifiche difficoltà di rapporti tra i coniugi risalenti nel tempo ed episodi di violenza posti in essere dal marito e documentati da certificati medici. La richiesta di addebito è stata quindi definitivamente respinta.

A cura dell’avvocato Elisa Salvoni

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