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Mille Miglia 1948: quella volta che Aldo Terigi fece sognare l’Italia

La Mille Miglia del 1948 è passata alla storia come l’edizione dell’ultima grande corsa di Tazio Nuvolari. Ma non tutti sanno che a quella competizione prese parte – piazzandosi addirittura quarto nella classifica finale – anche un lucchese: Aldo Terigi. Sì, proprio lui, l’uomo che nove anni più tardi avrebbe fondato l’azienda che ancora oggi lega il suo nome al mondo delle auto.
Quella del 1948 era l’Italia che si era appena lasciata alle spalle la guerra e stava rialzando la testa: quell’anno, il primo gennaio, era entrata in vigore la Costituzione. Il 18 e il 19 aprile si erano tenute le prime elezioni della Repubblica e poco dopo, il 2 maggio, tutto il paese era pronto a puntare gli occhi su un’altra competizione, da 1833 chilometri: la Mille Miglia Brescia-Roma-Brescia.

Aldo Terigi aveva 42 anni e ne aveva già viste molte. Precursore dei tempi, era stato il primo, a Lucca, a intuire il fascino delle quattro ruote, del mito della velocità, e con sacrificio aveva iniziato a comprare e rivendere auto modificate nel design della carrozzeria da quelle che allora erano piccole imprese: PininFarina, Zagato, Stanguellini. E fu proprio a bordo di una Stanguellini 1100 che Terigi, in quel 1948 di rinascita, tentò l’impresa. Un momento che suo figlio Giampaolo, oggi vivace 84enne, ricorda con orgoglio: “Stanguellini aveva la concessione Fiat a Bologna e mio padre aveva comprato quell’auto poco prima della competizione. La teneva in un garage a Firenze, dove andava spesso per predisporla al meglio per la gara”. Un percorso complesso, per come erano le strade allora e per le misure di sicurezza del tempo. Guidare un’auto ad alta velocità, per vincere e non solo per partecipare, richiedeva nervi saldi, volontà e forse anche un po’ d’incoscienza. “Mia madre era una maestra – racconta ancora Giampaolo Terigi – ed era lei il punto fermo, anche economico, della nostra famiglia. Prima di sposarsi, negli anni ’20, mio padre aveva già partecipato al circuito di Camaiore. Poi arrivò la guerra che per molti sportivi significò fermarsi negli anni del pieno delle proprie possibilità fisiche e mentali. Quando mio padre ci comunicò di voler competere nella Mille Miglia, all’entusiasmo di noi figli fece da contraltare la preoccupazione di mia madre. E in effetti le disavventure non mancarono”.
Ma è forse la sfortuna incontrata da Aldo Terigi a rendere il racconto della sua esperienza più emozionante: “Partirono. Erano 189 piloti, 189 macchine. Da Brescia a Roma e ritorno. E nel primo tratto, quello fino alla capitale, in testa a tutti c’era mio padre. Una sorpresa che nessuno si aspettava, al punto che Stanguellini gli fece sapere in corsa che, sebbene Terigi non fosse un pilota ufficiale della sua scuderia, gli avrebbe comunque offerto assistenza gratuita come agli altri. Andava forte, mio padre – ricorda Giampaolo – ma venne superato da Clemente Biondetti a bordo della sua Ferrari nel tratto di risalita dello stivale, quello da Torino a Brescia, che lo fotografò comunque primo nella sua categoria e secondo assoluto. Poi, ci si mise il maltempo. Non previsto, un temporale fortissimo lo costrinse a fermarsi. La sua macchina era aperta e imbarcava acqua e anche lui, che indossava una semplice calottina da aviatore, era fradicio. Non poteva proseguire in quelle condizioni, così cercò riparo. In attesa che la pioggia si fermasse ripulì la sua Stanguellini 1100 Ala d’oro, l’asciugò alla meglio, ma perse minuti preziosi. Avanti a lui passarono Alberto Comirato prima e Francesco Apruzzi dopo. Quando finalmente riuscì a rimettersi in pista, spinse con tutte le sue forze per recuperare una posizione, per conquistarsi almeno il bronzo di una competizione che lo aveva visto in testa per gran parte del percorso. Purtroppo – conclude Giampaolo – non ci riuscì e si piazzò quarto, a 5 minuti di distanza dal terzo posto. Nel 1951 ritentò l’impresa, con una Fiat Ermini, ma il morso della sfortuna fu ancora più feroce: prima uscì di strada, poi ruppe il motore. L’addio ufficiale alle corse arrivò pochi anni dopo, col circuito della Sardegna: fu mia madre a imporsi, a dire basta. In quella gara, infatti, mio padre ebbe un incidente che lo sbalzò fuori dall’auto e il suo copilota, Valerio Fugi, un giovane che si era appena sposato, se la vide molto male”. Le passioni vere, però, trovano sempre il modo di sopravvivere. E la concessionaria che ancora oggi porta il nome di Terigi, in via delle Fornacette a Lucca, dove lavorano i suoi nipoti, ne è la prova più forte. Un nome che della grande avventura lungo l’Italia del 1948 trattiene l’audacia e la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo. “Lucca sembra aver dimenticato mio padre – osserva Giampaolo – e questo mi addolora. Nel 1988, quando è venuto a mancare, un suo amico mi telefonò stupito perché la stampa non aveva scritto una parola di quella che era stata la sua storia”. Ma Giampaolo l’ha tenuta stretta, lui non l’ha dimenticata. E trent’anni dopo ce ne ha fatto dono.

… to be continued

Elisa Tambellini

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