Italiani e lucchesi in camicia rossa

Uomini del popolo e borghesi, analfabeti e intellettuali, idealisti e avventurieri, nazionalisti e per questo internazionalisti, il ‘popolo garibaldino’ rappresenta una realtà complessa, dove entusiasmi e utopie, passioni e speranze si fanno uomini – ed anche donne – in carne e ossa con storie di vita spesso di esemplare coerenza, talora torbide e contraddittorie.

Un mondo su cui sovraintende Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, il generale dei Mille, il magnanimo guerrigliero, sempre sospeso tra mito e realtà storica. Re pastore o politico navigato? Uomo d’arme tanto fortunato quanto politicamente ingenuo o, davvero, cavaliere invincibile senza macchia e senza paura?
Certo, del nostro Risorgimento Garibaldi è stato l’anima popolare ed è nel suo nome, per le sue parole e il suo esempio, che gli italiani, da secoli sotto il tallone di dominazioni straniere, insorsero e divennero nazione. Al loro insegnamento siamo tornati spesso, nei momenti più oscuri della nostra storia nazionale. Oggi, i loro valori morali ci interpellano ancora tutte le volte che ci accingiamo alla realizzazione di una società più libera e giusta.
Così si espresse Sandro Pertini, indimenticato Presidente della Repubblica, nel 1982, centenario della morte dell’eroe: “Richiamare alla memoria degli italiani il nome di Giuseppe Garibaldi significa ricordare anzitutto che a lui si deve la più autentica partecipazione di popolo alla costruzione dell’unità nazionale. L’ideale di un’Italia che fosse opera degli italiani stessi, che nascesse dalla volontà e dallo spirito di sacrificio del nostro popolo era stato per decenni il maggiore impegno dell’apostolato di Giuseppe Mazzini. Da lui lo apprese lo stesso Garibaldi: ma a differenza del fondatore della Giovine Italia egli tradusse quell’ideale in un principio di azione semplice ed efficace, atto a trovare un’eco immediata nell’animo dei giovani, degli oppressi, di chi aveva energie da mettere al servizio di un ideale. E nella figura di Garibaldi si riassumono i tratti più tipici dell’eroe popolare: l’amore per la Patria, il coraggio personale, il disinteresse, la semplicità dei costumi, l’amore della vita, il prestigio del condottiero vittorioso”.
Non sono mancati, certo, i lucchesi che, indossando la camicia rossa, hanno testimoniato la volontà dei figli di Lucca e delle sue terre di partecipare con convinta determinazione al processo nazionale unitario attraverso il quale l’Italia si faceva stato.
Tra i molti, non moltissimi, proviamo a individuarne alcuni, dalla significativa vicenda umana e politica.

L’unico lucchese dei Mille
Era figlio di Arcangelo, Giovanni Antonelli, ed era nato a Pedona di Camaiore il 13 dicembre 1820. Bracciante analfabeta, fu sempre uno spirito ribelle e un attivo oppositore nei confronti degli assetti politici del suo tempo. Soldato sotto il granduca, disertò. Arrestato, mentre era condotto a Camaiore, Giovanni riuscì comunque a fuggire. Venuto a sapere dell’impresa di Garibaldi, decise di prendervi parte. Successivamente si trasferì a Livorno e poi a Lucca, universalmente noto con il soprannome ‘il garibaldino’. In precarie condizioni di salute, visse con la pensione prevista per i Mille e morì il 17 novembre 1885.

L’eroe senza macchia né paura
Nato a Lucca da una famiglia di modeste condizioni Tito Strocchi (Lucca, 1846 – Bagni di Lucca, 1879), si laurea in legge a Pisa nel 1866 e l’anno dopo è con Garibaldi a Mentana. A Lucca partecipa alla costituzione dell’Associazione fra i reduci delle patrie battaglie, che ha come suo presidente onorario Giuseppe Mazzini e fonda il settimanale Il Serchio, che si rifà al magistero morale e politico dell’apostolo genovese. Legato a Mazzini dal progetto dell’alleanza repubblicana universale, viene arrestato nel 1869 con l’accusa di cospirazione contro lo stato. Liberato e rientrato a Lucca è l’organizzatore di una banda armata di circa 80 giovani lucchesi, che, traversato l’Appennino, intende puntare su Firenze, allora capitale del Regno, per promuovere un’insurrezione repubblicana. Impresa, questa, che realizzata in maniera piuttosto improvvisata nei primi giorni del giugno 1870, vale a lui e ai suoi compagni alcuni mesi di carcere. Amnistiato per il ritorno di Roma all’Italia, Tito Strocchi raggiunge Garibaldi che si batte a fianco del popolo francese contro i prussiani. Nel gennaio 1871 combatte a Digione e partecipa con Ricciotti Garibaldi all’impresa di strappare ai prussiani l’unica bandiera da loro perduta nell’intera campagna di Francia. Di nuovo in Italia si dedica all’attività forense e giornalistica. Ammalato gravemente di tubercolosi, si spegne a Bagni di Lucca il 12 giugno 1879.

Dalla rivoluzione alla politica. Moderata.
Antonio Mordini (Barga, 1819 – Montecatini 1902), dopo la laurea in giurisprudenza a Pisa, nel 1843 si trasferisce a Firenze dove organizza una società segreta di orientamento repubblicano. Combatte nella prima guerra d’indipendenza e dopo la fuga a Gaeta di Leopoldo II, sostiene il governo provvisorio di cui diviene ministro.
Alla fine dell’esperienza democratica per Mordini iniziano dieci anni d’esilio. Intensi i rapporti con Mazzini da cui, però, si allontana, pur rimanendo repubblicano.
Nel 1859, dopo aver partecipato alla guerra contro l’Austria, si adopera per sollecitare l’unione della Toscana al Piemonte. Deputato al parlamento subalpino, raggiunge Garibaldi in Sicilia e nel settembre 1860 è nominato prodittatore dell’isola. Nel 1862 torna in Sicilia per convincere il generale dei Mille ad abbandonare il progetto di una spedizione contro lo Stato pontificio. Arrestato perché ritenuto corresponsabile dei fatti dell’Aspromonte, dimostra l’infondatezza dell’accusa ed è autore dell’interpellanza che fa cadere il governo Rattazzi. Nel 1867 fa parte del governo Menabrea come ministro dei Lavori pubblici. Dal 1872 al 1876 è prefetto di Napoli. Nel 1893 è presidente della commissione finanze. Nel 1896 è nominato senatore a vita del Regno d’Italia. Attento alle problematiche del suo territorio, ricopre più volte l’incarico di vice-presidente del consiglio provinciale di Lucca e di consigliere del Comune di Barga.

Luciano Luciani

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