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Terza fatica per Stefano Tofani: la recensione di Luciano Luciani

Come i più riusciti eroi letterari e cinematografici di Stephen King – quelli, per intenderci, di Stand by me e di It / prima parte – anche Ernesto ha dodici anni e già addosso le stimmate dolorose del perdente: lo stesso soprannome che lo identifica tra i coetanei, Quattrocchio, è tutto un programma; poi, genitori separati e poco attenti a un figlio arrivato per caso; una scuola noiosa, frequentata controvoglia con professori lontani e insignificanti e compagni di scuola bulli e grossolani… Segnato dalla goffaggine propria dell’età, da una timidezza congenita e da un tasso di autostima tendente a zero, Ernesto è un bambino solo che vive, però, una vita interiore ricca di fantasie, desideri, speranze di qualcosa che, prima o poi, intervenga a cambiare la sua condizione. Ne parla con Lucio, un coetaneo disabile dalla lingua tagliente: ma sarà davvero un amico? Ne ragiona di notte con Fefè, un pescatore prodigo di consigli che lo tratta alla pari, da grande. Ma l’unico adulto che gli abbia davvero dimostrato un affetto “senza se e senza ma”, la nonna, è morta nell’incidente d’auto che ha reso Ernesto claudicante e ancora più solo a regolare i conti col mondo grande e terribile. Le cui spine sono ancora più puntute perché il nostro preadolescente è segretamente innamorato di Martina, bellissima e indifferente compagna di classe: un amore, il suo, purissimo e totale di quelli che si possono concepire solo nella terra di nessuno tra l’infanzia e l’adolescenza. Quando la coetanea, inopinatamente, sparisce (rapita? Fuggita? Finita per disgrazia “in un fosso, nel mare, in un pozzo: non ci voglio nemmeno pensare”?), Ernesto, pur impacciato e maldestro qual è, si trasforma in un vero e proprio eroe indagatore e dà fondo a tutte le sue risorse di pazienza, acume e (chi lo avrebbe mai detto?) faccia tosta. Grazie alla forza indomabile degli umiliati, ritrova Martina, ma la realtà non è mai come appare: c’è sempre un doppio fondo di verità, quasi mai migliore, più spesso volgare e sempre al di sotto delle nostre aspettative.

Tofani, alla sua terza prova romanzesca e dopo il riuscitissimo Fiori a rovescio, Nutrimenti 2018, è bravo a leggere la nostra contemporaneità – le sue contraddizioni, il suo caos affettivo ed esistenziale, le sue violenze piccole e grandi, palesi o nascoste – con gli occhi di un problematico adolescente dei nostri giorni, oscillante tra deliri di onnipotenza e comportamenti infantili, tra ansie di autonomia e bisogno di protezione. Costruito per brevi capitoli il romanzo – rivolto ai giovani Lettori, ma non solo – racconta di un tempo difficile e complicato in cui anche ai più deboli, ai più vulnerabili, ai più fragili è richiesto di contare esclusivamente sulle proprie deboli forze. La scrittura, scabra ed essenziale ma capace di improvvise accensioni, esempla il pensiero di Ernesto: depresso, ma comunque capace di curiosità e di sviluppare non comuni doti di resilienza. Pregi di non poco conto in una stagione vacua e superficiale, frivola e futile: e quindi cattiva, addirittura spietata soprattutto con quelli che non riescono, con quanti restano indietro.
A loro, ci interroga Ernesto, chi ci pensa?

Luciano Luciani

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Rizzoli, Mi 2019, pp. 220, Euro 16

Stefano Tofani è laureato in conservazione dei beni culturali all’università di Pisa e lavora per il Comune di Lucca. Nel 2013 ha pubblicato L’ombelico di Adamo, Perrone editore, Roma, vincitore del Premio Villa Torlonia. Nel 2018 per Nutrimenti è uscito il suo secondo romanzo, Fiori a rovescio.

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