Viareggio, spazi pubblici a chi ripudia fascismo

Viareggio non accetta manifestazioni di stampo neofascista: gli spazi pubblici verranno concessi solo a chi dichiarerà esplicitamente di ripudiare le ideologie fasciste e di riconoscersi nei principi fondanti la democrazia. L’atto di indirizzo è stato approvato dal consiglio comunale all’unanimità dei presenti i quali, su invito del sindaco, si sono seduti tutti sui banchi della maggioranza, Pd e Stefano Pasquinucci, compresi. Assenti invece, il Movimento 5 Stelle, Giuseppe De Stefano e i consiglieri della Lega.

La delibera nasce da una mozione del 30 ottobre 2017, nella quale tra le altre cose, si esprimeva “piena condanna nei confronti dei movimenti e delle associazioni che si richiamano al fascismo ed al nazismo, che diffondono idee e comportamenti di intolleranza ed odio, opposti ai valori fondamentali di uguaglianza, tolleranza e libertà stabiliti dalla nostra Costituzione”, sancisce “l’accesso ai beni comuni nella disponibilità della città di Viareggio e la possibilità di ottenere forme di beneficio di natura economica e non deve essere accompagnato da dichiarazioni esplicite e formali da parte degli istanti, di riconoscimento nei valori della Costituzione e della Resistenza, di ripudio del fascismo, del nazismo, di ideologie razziste, xenofobe o antisemite, omofobe e antidemocratiche, portatrici di odio o intolleranza religiosa”.
Impegni precisi, coerenti con i valori della Costituzione, fatti propri e ribaditi anche dai principi statutari del Comune di Viareggio, che dovranno essere presi da parte di chiunque intenda fruire dei beni della città. Esclusi dal provvedimento gli interventi in ambito sociale e assistenziale.

Questo l’intervento integrale del sindaco, Giorgio De Ghingaro
Il 25 Aprile è dedicato al ricordo della Liberazione di tutto il territorio italiano dal nazifascismo: è la festa identitaria dell’Italia, il riconoscimento collettivo di quanto avvenuto nelle nostre città. Il grazie unanime a chi ha sacrificato la vita, ma anche a chi ha contribuito a risollevare le nostre comunità dalle macerie e dalla disperazione.
Un appuntamento con la Storia, con la Patria, con la nostra bandiera.
Una ricorrenza che ci mette faccia a faccia con le radici stesse della società moderna: dell’Europa come oggi la conosciamo.
Celebrato per la prima volta nel ’46, diviene festa nazionale nel 1949.
Parate, inni, testimoni con i fazzoletti al collo, biologiche macchine del tempo ogni anno più rare, sono lo scenario tipico di una celebrazione divenuta rituale, ritenuta immutabile.
Rigidi protocolli che si ripetono da 73 anni in ogni città d’Italia.
Mai avremmo pensato che potesse essere messa in dubbio.
Eppure è successo.
Nell’Italia delle mille incertezze, in questa nuova dimensione di vita collettiva, dove niente è vero e tutto è verosimile. In un gioco delle parti illogico, certamente feroce, privo delle convenzioni sociali divenute inutili, di frontiere ideologiche, ritenute obsolete, di confini linguistici oltre i quali mai più saremmo voluti andare.
In questi giorni si è molto parlato del 25 Aprile, in un modo quasi ossessivo, come non succedeva da molti anni: ridicolizzato in termini calcistici dei derby di seconda categoria, ricordo per residuati bellici disinnescati, come le bombe che ogni tanto ancora ritroviamo nelle nostre città.
Soverchiato dal buonsenso codardo di un paese che fascista lo è già stato, e non se ne è mai dispiaciuto troppo.
E’ una ricorrenza divisiva, si è detto.
Certo che è divisiva. Il 25 Aprile è la festa di chi ha a cuore la Democrazia e la Libertà: perché furono la libertà e la democrazia le prime vittime del fascismo.
Democrazia e Libertà che tutti, indistintamente, siamo chiamati a difendere con la massima consapevolezza e determinazione.
A maggior ragione chi ricopre incarichi istituzionali e ha giurato sulla nostra Costituzione, che da quel lontano primo 25 aprile è nata.
Eppure nell’Italia di 73 anni dopo, trova spazio un fascismo pronto a riproporsi in forma aggiornata, ben al di là delle esternazioni marginali di qualche nostalgico, non più così raro, che gioca al saluto romano.
Un modo di affrontare la gestione della società di massa, che mobilita e ottiene consenso, mescolando sciovinismo e welfare.
Si fomentano paure inconsce che fanno leva nell’istinto stesso di sopravvivenza. Si punta un dito contro un nemico comune: gli immigrati in questo periodo. Ma altri ne verranno: Primo Levi ce l’ha insegnato.
Bisogno primario: la sicurezza, non più la Libertà. Data per acquisita, una volta per tutte, 73 anni fa.
Non più degna di essere festeggiata.
Un grande filologo, studioso del linguaggio del terzo reich affermava: “Le parole possono essere come piccole dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico” (Viktor Klemperer).
Questa delibera approvata oggi richiama i principi fondamentali della nostra Costituzione: un atto simbolo perché proposto in questa data, ma molto più che simbolico perché approvato dal consiglio, quindi dalla città.
E che richiederà un’altra seduta di consiglio se in futuro, qualcuno chiedesse di annullarlo. Un atto che è presidio di Libertà: e per questo vi ringrazio.
Ma grazie anche a questo 25 Aprile, un 25 Aprile qualunque di 73 anni dopo: per le parole dette, per quelle gridate, per quelle taciute, per tutte quelle che sono mancate. Oggi, anche a Viareggio, conosciamo meglio i volti di chi vuole spingerci di nuovo nel buco nero della Storia.
Noi non lo permetteremo.

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