“Il nome del figlio”, piccolo gioiello firmato Archibugi

Si può avere una storia anche con apparente assenza di trama e finale? Francesca Archibugi – che mutua questa convinzione letteraria da Cechov – ci dimostra di sì. Girato interamente nelle quattro mura di una casa romana decisamente radical chic – come la coppia che la abita interpretata da Valeria Golino e Luigi Lo Cascio – se si escludono i flashback dell’adolescenza dei protagonisti, Il nome del figlio è un piccolo scrigno del cinema italiano, che racchiude commedia e dramma e che riesce in un’ora e mezzo, in cui tempo della storia e tempo del racconto coincidono, a portare a galla cliché, luoghi comuni e contraddizioni della nostra società intellettuale. Ispirato al francese Cena tra amici, il film della regista romana racconta la cena di cinque amici di lunga data alle prese con ricordi, segreti e rivendicazioni che l’apparentemente banale questione della scelta del nome per il figlio nascituro di Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassman innesca.
Mantenendo alcuni espedienti teatrali – la sceneggiatura ha infatti come punto di partenza la pièce Le prénom -, come la “ginnastica casalinga” della Golino, il film tratteggia impietosamente una sedicente sinistra che, sbandierando la propria apertura mentale, si rivela in realtà attaccata alle proprie etichette e non priva di contraddizioni tra teoria e prassi, cui fa da contraltare il qualunquismo di chi (Gassman – Ramazzotti) non si è mai perso in sofismi intellettuali ma per sopravvivere gioca la carta di un’apparente leggerezza. A fare da mediatore tra due visioni del mondo opposte, ma non stereotipate, l’amico di sempre Rocco Papaleo, portatore di uno scomodo segreto che tutti i presenti faranno fatica ad accettare. I personaggi sono chiusi nel proprio ruolo, spesso plasmato e reso tale dagli altri, ed ecco che bastano qualche chiacchiera e un po’ di buon vino ad abbattere certezze e convinzioni. A completare il cast Roma, più evocata che rappresentata ma quasi personaggio autonomo e Giano bifronte: da una parte culla di arte e simbolo di una certa intellighenzia di casa nostra, dall’altra città popolare fatta di sobborghi e gente comune di cui è esponente Micaela Ramazzotti, scrittrice di scarsa cultura ma dalle ghiotte tirature. Sarà proprio lei, semplice ma acuta osservatrice del reale, a squarciare il velo della verità, ripristinando l’ordine con la sua allure pop, un po’ caciarona e vitale. Con un cast di attori in stato di grazia, il film è un raro concentrato di siparietti (contenuti e intelligenti) da commedia all’italiana, analisi di costume e piglio psicanalitico, che obbligano alla riflessione su chi eravamo e chi siamo diventati.
Alice Baccini