
Era convinto che oggi (7 aprile) sarebbe stato l’ultimo suo giorno di lavoro. Così si è svegliato all’alba, ha preso la pistola sottratta al padre il giorno prima e si è diretto a piedi da Camigliano a San Filippo per freddare il suo caporeparto Francesco Sodini (Articolo e foto). E’ quello che ha raccontato Massimo Donatini, il caldaista di 43 anni, che si è costituito ai carabinieri dopo aver scaricato 13 colpi di pistola contro il capo elettricista della Lucart di Porcari. Alle 14 di oggi sarebbe dovuto montare nell’azienda dove lavorava da 25 anni e dove attualmente svolgeva le stesse mansioni del padre, andato in pensione qualche tempo fa e dove ancora lavora il fratello. Si era convinto di essere osservato e controllato dal capo, nonostante Sodini lo trattasse con ogni riguardo.
E’ questo quanto ha confessato il killer agli investigatori dopo essersi costituito nella caserma di Cortile degli Svizzeri. Qui si è presentato mezz’ora dopo il delitto, dicendo al piantone che aveva un’arma e che con quella aveva appena ucciso il suo capo. “Avevo paura di perdere il mio posto di lavoro”, ha detto. L’arma è una pistola Glock 9×21, che il giorno prima aveva sottratto dall’armadio blindato del padre. Tutta la famiglia si era riunita lì per festeggiare il compleanno del figlio di Massimo, che il 4 aprile scorso aveva compiuto tre anni. Approfittando di quella situazione, si era impossessato dell’arma che poi stamani ha provato scaricando tre colpi in un campo mentre a piedi camminava da Camigliano a Lucca prima di compiere l’omicidio.
Torchiato dai carabinieri, inizialmente ha parlato di dissidi e liti scoppiate sul lavoro, poi ha detto di essere convinto che le attenzioni del capo nei suoi riguardi erano soltanto un modo per ingraziarselo e poi “farlo fuori” a lavoro. Ed era convinto anche che oggi sarebbe stato l’ultimo da assunto alla Lucart. Una circostanza categoricamente smentita dalla stessa azienda, che ha spiegato tra l’altro di non avere in cantiere nessun tipo di riduzione del personale.