Imprenditore operato: “Ora devo vincere tumore”

3 maggio 2016 | 19:45
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Imprenditore operato: “Ora devo vincere tumore”

di Giulia Prete
“La mia unica preoccupazione adesso è solo quella di vincere questa guerra contro il tumore. Il resto? Me ne frega assai di meno”. Guido Dal Porto sa bene che la sua vita non sarà più la stessa e vive un incubo dalla mattina del 29 aprile scorso quando uno stuolo di medici gli ha fatto visita nella sua casa di San Ginese, annunciando che era andato tutto storto e che il rene che gli avevano tolto al San Luca era quello sano. “E’ un carcerato, chi se ne frega avranno pensato i medici – si sfoga l’imprenditore di 56 anni agli arresti domiciliari -: per loro ero un galeotto e hanno fatto tutto superficialmente. Me ne accorsi durante una visita con il medico: mi guardava con aria da sufficienza, tanto che io mi arrabbiai: sono galeotto, dissi, ma non importa fare così”.

A qualche ora dalla presentazione della denuncia in procura da parte del suo avvocato Veronica Nelli (Leggi), Dal Porto prende la sua risoluzione: “Di quel che accadrà su quel fronte mi interessa molto meno rispetto al mio tumore”. Ed è per questo che domani darà l’ultima intervista in tv, su Canale 5, e poi farà agire il suo avvocato: “So solo che mi è caduto il mondo addosso. Di cose che non vanno in questa storia ce ne sono parecchie. Io adesso ho solo voglia di combattere, di far stare tranquilla la mia famiglia e la prima cosa che farò domani mattina quando sarò in diretta su Canale 5 sarà quella di salutare tutta la mia sezione del carcere che mi è sempre stata vicina, dai compagni, al parroco, allo psicologo, all’educatrice e alle guardie che hanno sempre avuto parole di conforto per me. Di quello che penserà la gente non me ne frega nulla, io devo quasi tutto a loro”.
Da affrontare c’è, come diceva l’imprenditore, una guerra all’ultimo sangue. Quella che gli resta da affrontare dopo il clamoroso errore al San Luca. “Lì non mi opererò mai più – afferma -. Sabato mattina ho avuto modo di parlare col professor Cecchi, primario dell’urologia dell’ospedale Versilia e devo dire che è stato molto breve, ma chiarissimo: mi ha spiegato che ha visto la tac, e secondo lui al 98,99% si può asportare la parte del rene colpita dal tumore senza toglierlo del tutto. La mia domanda allora è solo una: come mai prima questa opzione non mi è stata mai nemmeno accennata? Perché sono un carcerato?”. La domanda cade nel vuoto. E dai medici del San Luca non è arrivato più alcun segnale. Dal Porto, dopo la drammatica visita del 29 aprile scorso, non ha visto più nessuno, salvo la visita di sabato per decidere sul suo futuro. Ma anche le istituzioni non si sono fatte vive, ad accezione di qualche messaggio di solidarietà affidato ai comunicati stampa. “L’unica vera solidarietà che ho avuto è arrivata dal carcere, dove di solito uno pensa che ci siano solo delinquenti che non hanno un briciolo di umanità – osserva Dal Porto -. Proprio oggi mi è venuto a trovare don Simone, il cappellano che in tutti quei giorni che ho trascorso tra quelle mura mi ha confortato e mi ha fatto addirittura avvicinare alla fede, proprio io che fino a pochi mesi fa dei preti, della chiesa e di tutto il resto non ne volevo proprio sapere. Mi è venuto a trovare e mi ha portato i saluti e gli auguri di tutta la mia sezione, composta da ragazzi anche molto giovani provenienti da ogni parte del mondo. Mi ha fatto gli auguri anche un ragazzo che ha combattuto in Bosnia, gente che deve stare là dentro anni e anni e che per la testa ha sicuramente mille altri problemi e preoccupazioni. Mi sono veramente commosso, se non si provano queste situazioni è difficile capire…”.
E così nell’incubo si è accesa una luce. “Don Simone – racconta ancora Dal Porto – mi proponeva sempre di andare alla messa, ed io inizialmente non ci andavo mai perché preferivo passare il tempo ad aiutare a scrivere le lettere ai miei compagni che con l’italiano non ci sapevano fare. Poi invece ci sono andato e ho cominciato a leggere anche un po’ di Bibbia, proprio io che non l’avevo neanche aperta. Mi sono addirittura attaccato in camera un crocifisso e me lo sono voluto portare anche qua, a casa. Ho passato 113 giorni in una cella con una finestrella che si affacciava sulle Mura, vedevo le persone che passeggiavano e anche se avevo ore d’aria stavo male. Il primo mese è stata veramente dura. Prima di entrare in carcere non ero così calmo, la cella mi ha cambiato per sempre”. E ora c’è una realtà ancora più dura del carcere da affrontare. Ma Dal Porto è deciso: “Mi sono messo in testa che domani rilascerò la mia ultima intervista e poi rincomincerò pian piano la mia guerra, insieme alla mia famiglia. Al primo intervento ci sono andato veramente carico. Mi hanno operato dopo solo un giorno che sono tornato a casa, non ho avuto nemmeno il tempo di svagarmi un po’. Ma la mia famiglia mi incoraggiava, e sono andato convinto di farcela, pensavo davvero di guarire e di mettergliela nel culo a questo tumore. I giorni dopo l’operazione ero convintissimo di avercela fatta, di aver sconfitto finalmente il nemico, che presto sarebbe finito tutto e tutto si sarebbe rimesso apposto”. Alla fine invece l’amara disillusione e la tragica realtà ha fatto all’improvviso capolino nella vita dell’imprenditore, quando “mi sono entrati in casa quei signori dottori ed è stato un colpo tra capo e collo. Loro spiegavano cos’era successo, parlando di statistiche, di numeri, e io ascoltavo frastornato come con la testa tra le nuvole. Mi è caduto il mondo addosso, non riesco ancora a capacitarmene. Pensavo di aver vinto la guerra, ma la guerra vera comincia adesso. Devo cercare di rimanere tranquillo e di combattere soprattutto per i miei familiari, mia moglie e i miei figli che hanno avuto un duro colpo già quando mi portarono in carcere. Ma sono stato un coglione, ed è giusto che io paghi. Questo però è troppo: secondo me questi errori sono stati fatti anche perché il tumore era il mio, di un carcerato, e allora le cose sono state fatte più superficialmente. ‘Tanto è un carcerato, chi se ne frega’. Anche il medico che mi ha operato ha avuto anche il coraggio di dire che non è stata colpa sua, incolpando la radiologa. Perché non ha controllato le Tac come avrebbe dovuto fare?”. Secondo Dal Porto non c’era nessuna fretta di operare, ma così venne deciso. “Le guardie mi hanno accompagnato solo il giorno in cui ho fatto la visita e non per l’intervento. In occasione della visita mi arrabbiai anche col medico perché – racconta Dal Porto -mi guardava con aria di sufficienza e io me ne accorsi subito. Gli dissi: ‘sono un carcerato ma non c’è mica bisogno di comportarsi così’”. Ora saranno le inchieste a tentare di chiarire come sono andate davvero le cose e soprattutto a evitare che episodi del genere si verifichino anche in futuro. Per l’imprenditore ora si avvicina comunque un altro scoglio difficile: un nuovo intervento per togliere il tumore che sarà svolto stavolta all’ospedale unico della Versilia.