Inchiesta pulper e fanghi, prime conferme dalle analisi

Una concentrazione di idrocarburi oltre i limiti previsti dalla legge: le analisi delegate all’Arpat e a due laboratori di Lucca e di Venezia, nell’ambito dell’inchiesta su un presunto giro di smaltimento illegale di fanghi industriali da cartiere e da alcuni depuratori della provincia di Lucca arrivano a confermare le ipotesi della procura della Dda di Firenze che il 13 settembre scorso era culminato con l’arresto di sei imprenditori, cinque dei quali residenti in Lucchesia (Leggi).
Le concentrazioni ritenute “ben oltre i limiti” sarebbero state riscontrate sia nel pulper, lo scarto della lavorazione della carta, sia nei fanghi riversati nei terreni di aziende agricole ritenute compiacenti in provincia di Pisa e Firenze, a Palaia, Peccioli e Montaione.
Sono queste le novità che trapelano dall’inchiesta coordinata dal pm della Dda di Firenze, Giulio Monferini, e che ha coinvolto, in Lucchesia, la Lucart e l’Industria cartaria Pieretti, che fin da subito si sono dichiarate assolutamente estranee ai fatti.
Il nome di queste due aziende figura negli atti dell’inchiesta da cui sono scattate sei ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari e altri 8 provvedimenti restrittivi solo perché, per gli inquirenti, un’impresa di Pescia finita nel mirino per gli smaltimenti illeciti avrebbe acquistato il pulper dalle due cartiere.
Le accuse, pesanti -, che vanno come ormai noto a vario titolo dal traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni della Regione (per l’ecotassa non pagata) e falsità ideologica -, vengono invece mosse agli arrestati e all’impresa pesciatina che, acquistato il pulper, lo smaltiva senza ripulirlo: gli scarti venivano consegnanti ma da protocollo avrebbero dovuto essere depurati a carico dell’azienda prima dello smaltimento. Mentre invece, secondo la procura, venivano inceneriti senza essere privati degli agenti tossici e soprattutto con tassi di umidità superiori ai livelli previsti dalle procedure. Per questo poi le sostanze pericolose finivano libere nell’ambiente, dopo l’incenerimento nei termovalorizzatori o, peggio ancora, seppellite in terreni destinati alle coltivazioni di grano. E per almeno due anni, dal 2013 al 2014, come hanno finora ipotizzato gli inquirenti. Le manette erano scattate ai polsi di cinque imprenditori di società di smaltimento del pulper e di questi rifiuti speciali, tutti residenti in Lucchesia: ai domiciliari erano finiti Mariano e Martino Fornaciari, di 62 e 34 anni, entrambi di Porcari, e Felicino e Federico Del Carlo, 50 e 26 anni, il primo di Porcari, l’altro originario di Barga. Stessa misura era stata adottata per Alessandro Salutini, residente a Porcari ma originario di Pontedera, di 53 anni, e per un altro imprenditore della provincia di Padova, Gianni Pagnin, di 65.
Nel mirino, come si sa, era finito anche lo smaltimento dei fanghi derivanti dai depuratori, tra cui quello di Geal a Pontetetto, ma anche di Gaia, in Versilia, mentre agli atti dell’inchiesta era finita anche la lavorazione curata da Sea Risorse, società che come le altre aveva fin dall’inizio rivendicato l’estraneità ai fatti e l’ossequiosa aderenza ai protocolli delle procedure (Leggi). Gli inquirenti della procura distrettuale antimafia di Firenze, diretti dal procuratore capo Giuseppe Creazzo, tuttavia, avevano delegato anche l’acquisizione anche della documentazione relativa alla depurazione, alle procedure seguite e alla gara che, a Lucca, è stata vinta proprio dalla Dc Green, i cui vertici sono agli arresti domiciliari: il titolare e amministratore Felicino e Federico Del Carlo,e il legale rappresentante Alessandro Salutini. In base a questo appalto, la società acquistando a prezzi competitivi i fanghi derivati da scarichi civili e depurati da Geal, li rivendeva come fertilizzanti. La procura tuttavia ipotizza che quello che finiva nel terreno di aziende agricole “compiacenti” era rifiuto tossico. E dall’Arpat arriverebbero oggi le prime conferme. Le indagini ora mirano ad appurare come quelle sostanze vi siano finite: se interpolate in un secondo momento o se, spiega l’accusa, si trovavano al termine del ciclo di lavorazione.