Covid, pronto soccorso congestionato: ma l’urgenza c’è solo nel 35 per cento dei casi

La direttrice Frosini: “È necessario che i pazienti contattino il proprio medico di base o di continuità assistenziale: la prima risposta deve venire dal territorio”
Su una media giornaliera di quattordici pazienti con Covid che si presentano al pronto soccorso del San Luca, sono circa cinque quelli che vengono trattenuti e ricoverati. Una percentuale del 35 per cento, poco più di un terzo dei ricoveri nel corso della prima e seconda ondata della pandemia, quando si parlava di ricoveri pari al 99 per cento degli accessi in pronto soccorso per complicazioni causate dal Covid. In terapia intensiva ci sono i non vaccinati, mentre a presentare complicazioni da Covid da monitorare con il ricovero sono le persone con anche altre patologie, sebbene vaccinate.
A confermarlo è la dottoressa Fabiana Frosini, direttrice dell’unità di pronto soccorso di Lucca dal 2017, che fa proprio l’appello lanciato pochi giorni fa dalla Simeu, la società italiana di medicina di emergenza e urgenza, a non utilizzare il pronto soccorso come soluzione alternativa alle strutture territoriali per l’assistenza non urgente.
“Addirittura alcune persone – dice Frosini – si rivolgono al pronto soccorso per farsi fare un tampone e poter tornare, così, al lavoro. Ecco, tengo a sottolineare che questo non è un servizio che eroghiamo, non siamo farmacie né il drive through del Campo di Marte, e di fronte a queste richieste siamo costretti a dire di no”.
Il quadro si complica ulteriormente quando il pronto soccorso si trova a fronteggiare questioni delicate più dal punto di vista sociale che da quello clinico: “Ci sono stati molti casi – aggiunge Frosini – di famiglie che si sono rivolte al pronto soccorso per trovare una sistemazione a un genitore anziano con Covid necessariamente separato dalla badante che se ne occupava prima della positività al virus. Questo problema dell’assistenza alle persone più fragili nella prima ondata della pandemia non era emerso perché l’imperativo era quello di stare in casa e in una situazione di lockdown generale si erano create le condizioni per prendersi cura direttamente dei familiari non autonomi. Adesso non è più così, le persone lavorano“.
“La risposta c’è – continua la dottoressa – e si chiama degenza nelle strutture intermedie Covid. Un servizio che deve essere attivato attraverso il medico di medicina generale, o il medico di continuità assistenziale (Usca), non con il pronto soccorso. È un momento complicato e non sempre è facile mettersi in contatto col proprio medico di base, come riportano molti pazienti. Ma non ci sono altre vie, e di certo il pronto soccorso non può sostituirsi”. Non è detto che un cittadino lucchese possa trovare posto in una struttura intermedia di Lucca: è necessario essere consapevoli della logica di area vasta che potrebbe comportare un isolamento laddove c’è disponibilià di posti letto – il che potrebbe significare, per esempio, anche Massa, Bientina o Pontedera.
E gli accessi al pronto soccorso non Covid? “Sono tornati ai livelli precedenti all’emergenza coronavirus: ogni giorno – dice Fabiana Frosini – si presentano circa 160 persone. Il luogo è piccolo, lo è sempre stato: abbiamo tuttavia allestito percorsi sicuri per tutti gli utenti e abbiamo ripristinato gli ulteriori spazi allestiti durante la prima ondata. C’è forte scrupolo nell’ammettere i pazienti al ricovero, a tutti viene fatto un tampone: oggi, per fortuna, i tempi di risposta si sono molto ridotti: in un’ora e mezza arriva il risultato del tampone molecolare e in quindici minuti quello dell’antigenico, sempre più sensibile e affidabile. Ricordo, per amore di cronaca, che inizialmente occorrevano 16 ore per conoscere l’esito del molecolare”.