Restituiva in contanti allo sponsor metà dell’importo in fattura, condannata la legale rappresentante di un’associazione sportiva

Sentenza definitiva nell’ambito di un’inchiesta che ha visto 53 persone indagate fra cui un ex sottufficiale della Finanza e un ex amministratore di un comune della Versilia
Per procacciarsi sponsor emettevano fattura piena ma poi restituivano circa la metà dei soldi agli imprenditori, 48enne condannata in via definitiva a 1 anno e 6 mesi di reclusione per reati legati all’evasione fiscale.
La donna, legale rappresentante di un’associazione sportiva versiliese, era finita nel mirino degli investigatori e degli inquirenti lucchesi, insieme a un sottufficiale delle fiamme gialle e a un professionista ed ex amministratore di un Comune della Versilia che però sono stati giudicati separatamente.
La donna è stata condannata per aver agevolato, in concorso, l’evasione fiscale di terzi attraverso documentazioni fraudolente. Dalle indagini e dai processi è emerso che la società dilettantistica gonfiava le fatture permettendo agli sponsor di dedurre un maggiore imponibile di quello pagato e di detrarre maggiore Iva. L’associazione, potendo vantare su un regime fiscale agevolato che permette il pagamento delle imposte sulla base di una percentuale dei ricavi, una volta incassate le somme, restituiva parte delle stesse alle aziende sponsorizzatrici. Questo filone versiliese fa parte di una più ampia inchiesta della guardia di finanza di alcuni anni fa che aveva portato all’iscrizione nel registro degli indagati ben 53 persone, tra Pisa, Lucca, Firenze e Bergamo.
La guardia di finanza aveva esaminato anche decine di conti correnti bancari e ha ricostruito anche i due metodi con i quali si metteva in atto la frode fiscale: il primo consisteva nella semplice restituzione di denaro contante alle società sponsorizzate dopo il pagamento della sponsorizzazione, il secondo invece si attuava trasferendo immediatamente la somma di denaro, dopo l’accredito del pagamento, a conti correnti bancari e postali, giustificandolo con il pagamento di fatture per prestazioni di servizi mai avvenuti.
Attorno all’associazione a delinquere, secondo le fiamme gialle, gravitavano oltre 50 imprese che hanno annotato costi indeducibili per 6 milioni e 750 mila euro attraverso fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società sportive. Ognuno degli indagati è finito poi a processo, con diversi esiti e sviluppi, nei vari tribunali di appartenenza. In Versilia la donna ha proposto ricorso per Cassazione avverso la condanna dello scorso anno della corte d’Appello fiorentina che aveva a sua volta confermato quella del gup di Lucca in sede di abbreviato.
Per gli ermellini, si legge in sentenza: “In forza di questi elementi, la sentenza ha quindi affermato che il reato in oggetto sussiste non solo quando il dolo di evasione del terzo costituisca fine esclusivo dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma anche quando a questo si accompagni un’altra finalità, magari anche percepita come prioritaria. Esattamente quel che risulta dalle stesse ammissioni della ricorrente, per come richiamate in entrambe le sentenze di merito e non contestate: la donna, comprendendo quale fosse l’effettiva destinazione degli importi, ossia restituire parte delle somme formalmente ricevute, aveva compreso anche che questa operazione consentiva, da un lato, alla associazione sportiva della Versilia di ottenere la sponsorizzazione, e, dall’altro, alle destinatarie di disporre di fatture per le quali avevano versato, in realtà, cifre inferiori, anche della metà. Dal che, il dolo specifico che come affermato nella sentenza sicuramente non rivestiva carattere centrale nella ricorrente, ma comunque esisteva, unitamente a quello concernente la conclusione del contratto. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende”.
I reati contestati, per tutte le persone coinvolte, sono emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in concorso. Degli altri esiti processuali se ne saprà di più nelle prossime settimane.