Cannabis, un’altra condanna definitiva per un medico

20 aprile 2022 | 16:11
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Cannabis, un’altra condanna definitiva per un medico

Nuovo capitolo giudiziario per Fabrizio Cinquini: la Cassazione conferma la sentenza di secondo grado a un anno e 4 mesi

Seconda condanna definitiva nei confronti del “dottor cannabis”, come egli stesso si è definito in un noto libro autobiografico. La suprema corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna di secondo grado per Fabrizio Cinquini a 1 anno e 4 mesi di reclusione ed euro 4.000 di multa.

Fabrizio Cinquini è un medico chirurgo versiliese che più volte si è autodenunciato per le proprie piantagioni di canapa coltivata allo scopo di donarla a pazienti con gravi patologie, dalla sclerosi multipla al cancro. La corte d’Appello di Firenze, dopo che il gup di Lucca, nel 2016, aveva assolto l’imputato evidenziando che l’analisi tossicologica era stata compiuta a seguito di un campionamento arbitrario solo su sei piante delle ventiquattro sottoposte a sequestro e rilevando comunque la loro ridotta capacità drogante, ha ritenuto, invece, corretta l’operazione di campionamento delle piante effettuata dal laboratorio dell’Asl, previo raggruppamento delle stesse sulla base della loro tipologia, e corretta anche l’estensione dei risultati delle analisi sulle piante campionate alle altre piante facenti parte della stessa tipologia.

“Sulla base di tali analisi – hanno osservato i giudici – il dato complessivo di thc ricavabile dalla coltivazione praticata da Cinquini era pari a 946 dosi medie singole”. La corte ha rilevato che gli accertamenti erano stati condotti dal personale del laboratorio analisi chimiche dell’ospedale Versilia su un campione per quattro diverse tipologie omogenee di piante (ovvero piante piccole con influorescenza, piante grandi, piante grandi in vaso e pianta verde) e che in tutti i campioni esaminati era stato riscontrato un principio attivo superiore alla soglia minima. A fronte di tale dato e del rilevante numero di dosi ricavabili, l’imputato non aveva addotto alcuna giustificazione in ordine alla coltivazione, né esigenze di uso personale.

Scrive la Cassazione in sentenza: “La motivazione adottata, aderente ai dati emergenti dalle indagini e rispondente ai principi adottati da questa corte in ordine ai presupposti per ritenere la coltivazione di sostanza stupefacente a carattere domestico, vale a supportare l’affermazione della responsabilità penale del ricorrente. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali”. Il medico era stato condannato in via definitiva già nel 2019 a seguito di un altro processo per gli stessi reati a 2 anni e 8 mesi di reclusione.