La figlia è sparita da anni e non la dichiara: l’Inps le toglie il reddito di cittadinanza

15 giugno 2022 | 16:49
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La figlia è sparita da anni e non la dichiara: l’Inps le toglie il reddito di cittadinanza

Il tribunale di Lucca condanna l’ente previdenziale a risarcire la donna

L’Inps le toglie il reddito di cittadinanza e le richiede indietro oltre 9mila euro per non aver inserito la figlia nel nucleo familiare nell’ultimo Isee presentato, ma la ragazza è scappata di casa ed è scomparsa dal 2018, come si sarebbe potuto facilmente appurare, e il giudice condanna l’ente a ripristinare l’erogazione e con gli arretrati dall’interruzione ad oggi. A volte la burocrazia in Italia è capace ci creare veri disagi e a volte disastri, quando è priva completamente “dell’elemento umano”, e allora come in questo caso i giudici riparano danni, riportano giustizia e buon senso e fissano le regole.

Sotto “accusa” stavolta è l’Inps che il giudice Maurizio Piccoli del tribunale di Lucca ha richiamato all’applicazione severa delle norme e della modalità da seguire, l’ennesima sentenza che ricorda all’ente previdenziale che esistono delle priorità in Italia, per fortuna. Una donna di Altopascio già provata da mille difficoltà ha sbattuto contro quel muro di gomma che solo la burocrazia italiana sa creare a volte, purtroppo. Non ha lavoro, vive in una casa popolare ed è assistita dai servizi sociali, è divorziata e ha due figlie: una vive per conto suo con la sua famiglia in un alto Comune mentre l’altra, la più piccola, ha da alcuni anni problemi di droga che l’hanno portata ad avere anche problemi con la giustizia, Una condanna nel 2017, poi il passaggio in una comunità di recupero nel 2018, poi la sparizione.

Come spesso accade in questi casi purtroppo. La donna si rivolge a forze dell’ordine, ai social e a note trasmissioni televisive nazionali per cercare di avere notizie della figlia. Sono momenti di apprensione, paure, e mille pensieri che tolgono il fiato. La ragazza l’ultima volta aveva chiamato la madre dalla Francia dove diceva di essere in giro per l’Europa con un gruppo di amici e a nulla erano serviti gli appelli a tornare a casa, a curarsi, a cambiare vita. Poi il nulla. La donna chiede e ottiene il reddito di cittadinanza ma nell’Isee dello scorso anno dopo essersi consultata con un Caf non inserisce più nelle dichiarazioni sula composizione del nucleo familiare quella figlia che ormai non si fa più viva da anni. Una informazione che non cambia nulla da un punto di vista economico e reddituale ai fini del reddito di cittadinanza e della somma dovuta. Ma a quel punto entra in campo “la burocrazia”, quella peggiore, cieca e fredda e anche fallace come dimostrerà la sentenza. A dicembre dello scorso anno l’Inps le comunica che non solo non le spetta più il reddito di cittadinanza per l’omissione della figlia nella composizione del nucleo familiare ma siccome ritiene tale mancanza come dolosa le richiede indietro gli oltre 9mila euro percepiti nel 2021.

Il dolo è fondamentale per poter richiedere la restituzione delle somme. La risposta che fornisce il giudice in sentenza, ristabilendo che in Italia conta la sostanza e non la forma, non ha bisogno di nessun commento: “Senonché, l’Inps una volta ricevuta l’opposizione della donna, anziché analizzare gli effetti della falsa dichiarazione, ovvero se la stessa avesse consentito o meno il percepimento di un sussidio altrimenti non spettante, si è trincerata dietro una formale applicazione della legge”. E ancora: “Senza entrare nel merito della legge e del sussidio, degli scopi preposti e delle polemiche politiche intervenute, che non incidono minimamente ai fini del decidere, è evidente come pur in un contesto di erronea formale domanda, la donna aveva tutti i requisiti per percepire il sussidio ed era compito dell’ente esaminare, una volta venutone a conoscenza, tutti gli aspetti di fatto e non limitarsi al semplice rilevamento della difformità formale”. E infine: “Vieppiù laddove la sua situazione reale ove correttamente esposta le avrebbe consentito di percepire il sussidio nella stessa misura effettivamente percepita. Questo giudice ritiene che ogni norma ed ogni sua interpretazione ed applicazione debba rispondere ai principi costituzionali; questo impone una valutazione sostanziale che, nella quasi totalità dei casi, deve prevale rispetto ad una semplice valutazione formale. Su detto presupposto l’applicazione della legge non è e non può essere solo formale, ma per erogare un sussidio vitale, è necessario sia per erogarlo che per revocarlo, verificare in concreto la reale situazione”. Più chiaro di così. L’Inps è stata condannata a ripristinare il reddito di cittadinanza alla donna, con tutti gli arretrati e a pagare anche oltre 3mila euro di spese legali. Giustizia è fatta. Quando arriva una comunicazione sempre meglio farla visionare a un legale di fiducia.