Ex marittimo licenziato, il legale del proprietario dello yacht: “Si è assentato dal lavoro per 16 giorni”

Il difensore del noto stilista: “L’ex lavoratore annuncia ricorso? Noi continueremo a difenderci come abbiamo fatto finora”
“Ci difenderemo come abbiamo fatto sia in questa causa che nell’altra ancora pendente”. A dirlo è l’avvocato Paolo Garfagnini che difende il noto stilista, datore di lavoro di un marittimo residente in provincia di Lucca che ha fatto causa dopo il licenziamento. Secondo la controparte, la decisione sarebbe stata legittima e motivata da una prolungata assenza del lavoratore senza alcun motivo.
Il legale ricostruisce la vicenda processuale dal suo punto di vista: “Nel settembre 2020 – fa notare l’avvocato – la normativa emergenziale Covid non permetteva al datore di lavoro di licenziare per giustificato motivo oggettivo cioè per motivi economici. Era pienamente legittimo licenziare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Secondo quanto sostenuto dal datore di lavoro in causa il dipendente in questione nel mese di settembre 2020 con lo yacht in crociera è sbarcato senza rientrare a bordo per ben 16 giorni consecutivi e senza avere legittimo motivo per farlo di qui il licenziamento per giustificato motivo soggettivo: il datore di lavoro avrebbe potuto irrogarlo anche per giusta causa ma ha preferito pagare al dipendente il preavviso”.
“Certo il datore di lavoro – osserva l’avvocato – ha commesso un errore non menzionando il motivo di licenziamento nella lettera inviata al dipendente e questo gli è costato ben 36.798 euro (il dipendente, infatti, con la qualifica di ‘primo cameriere’ con mansioni quindi di cameriere aveva una retribuzione mensile di fatto di circa 6.133,00 euro) in adempimento della sentenza della Corte di Appello di Firenze: il datore di lavoro ha già provveduto al pagamento, con riserva d’impugnazione, il giorno successivo al deposito della sentenza avvenuto il 26 giugno”.
“Il dipendente nel giudizio di primo grado ha sostenuto di essere stato licenziato senza motivazione scritta, quindi, per giustificato motivo oggettivo. Il Tribunale di Lucca – ricostruisce il legale – ha accolto questa affermazione condannando il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente e ad un risarcimento pari a tutte le mensilità maturate dal licenziamento per un totale da ultimo conteggio di circa 200.000 euro. Sentenza reclamata dal datore di lavoro. La Corte di Appello di Firenze ha accolto parzialmente il reclamo annullando l’ordine di reintegrazione e il risarcimento così come disposto in primo grado; ha condannato il datore di lavoro per non avere scritto il motivo di licenziamento nella lettera inviata al dipendente a pagare sei mensilità: per un vizio formale dell’atto di recesso. Il datore di lavoro sia in primo grado che nel giudizio di reclamo ha chiesto di provare mediante testimoni la reale motivazione del licenziamento ma il dipendente si è sempre opposto rifiutando il contraddittorio sul punto. La Corte di Appello di Firenze ha annullato la reintegra sostenendo che se il lavoratore avesse voluto avvalersi della normativa emergenziale avrebbe dovuto provare che era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo ma quest’ultimo ha rifiutato il contraddittorio sul punto”.
Così si legge in sentenza, ricorda l’avvocato: “Al fine di ottenere la più incisiva tutela prevista dalle norme emergenziali per le violazioni del divieto di licenziamenti economici, sarebbe stato onere del lavoratore chiedere o almeno accettare il contraddittorio in ordine all’affermata (diversa) ragione del recesso, come dedotta dal datore di lavoro. Così che, ove i fatti da questi allegati non fossero stati dimostrati, ne sarebbe risultata di necessità provata la natura non disciplinare del licenziamento, che non avrebbe potuto essere stato determinato allora che da ragioni oggettive, con ogni conseguenza quanto all’applicazione del divieto previsto dalla normativa emergenziale, mente ove provati quei fatti avrebbe dovuto farsi applicazione della sola tutela risarcitoria ex lege 604/1966. Nella specie tuttavia il lavoratore non ha chiesto che si indagasse in ordine alla motivazione del recesso e anzi si è espressamente opposto a tale indagine, assumendone l’inammissibilità”. “Il dipendente annuncia ricorso per Cassazione come suo diritto – afferma il legale -, ci difenderemo come abbiamo fatto sia in questa causa che nell’altra ancora pendente”.