“Dipartita finale”, la Versiliana si apre con le quattro generazioni a confronto di Branciaroli

Quattro star del teatro, e altrettante generazioni, per Dipartita Finale di Branciaroli, in scena alla Versiliana venerdì (18 luglio) alle 21,30, quando si alzerà il sipario della 35esima edizione del festival. Non si era mai vista prima d’ora una locandina teatrale con su scritto interpreti in ordine anagrafico, ma è proprio così che si annuncia lo spettacolo, con Gianrico Tedeschi 94 anni, Ugo Pagliai 76 anni, Franco Branciaroli 66 anni, Massimo Popolizio 53 anni. Dopo l’apprezzata edizione di Finale di Partita di Beckett del 2006, Franco Branciaroli torna da autore firma, con questo Dipartita Finale, un testo ascrivibile alla stessa atmosfera dell’assurdo. È la storia di tre clochard, Pol, Pot e il Supino, comicamente alle prese con le questioni ultime, cui li costringe Totò, travestimento della morte.
Oltre allo stesso Branciaroli, che ricoprirà proprio questo ruolo, ad interpretarlo ci sarà un cast esemplare di attori: Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai e Massimo Popolizio, presentati in locandina in ordine anagrafico. E il fine metafisico, quello di un mondo affossato dall’assenza di valori e che affida la propria longevità alla scienza, in assenza di una fede nell’immortalità, è perseguito con strumenti irresistibilmente divertenti. “È una parodia, un western, un gioco da ubriachi sulla condizione umana dei nostri tempi, con tre barboni che giacciono in una baracca sulle rive di un fiume, forse del Tevere, e con la morte, nei panni di Totò menagramo, che li va a trovare impugnando la falce”, afferma Branciaroli. Il finale, a sorpresa, è lieto per tre quarti. “Ci si difende dall’angoscia da sempre – aggiunge l’autore -. L’angoscia è la mancata perfezione della vita. Affidarsi a Dio, venirne uccisi per salvarsi, addirittura ucciderlo per questo: finora. E’ morto, adesso, per chi lo percepisce davvero. Non morto per noi, non più; scomparso. I più lo ignorano nel profondo perché indifferenti. Con Lui tutto ciò che è assoluto valore è scomparso. Però l’angoscia resta e cresce: vieppiù. La realtà è senza ideale, la natura senza luce. Ebbene, l’opera d’arte (sperando che sia arte) deve essere capace, oggi, di suscitare in qualcuno la convinzione che in essa sia presente quel senso ultimo del mondo che è il trovarsi privi di Dio; e naturalmente la disperazione che ne consegue. Di aver perso il rimedio per allontanare la sofferenza e la morte. Il sapere umano pensa già alla costruzione di una vita umana in cui sofferenza e morte siano allontanate il più possibile: la realizzazione di un mondo nuovo che anticipi l’Apocalisse: nuova terra, nuovo cielo. La scienza, la potenza umana, sostituisce Dio. Si assomigliano molto, Dio e scienza, più di quanto solitamente si creda. La scienza adesso non limita nessuna azione; non vi è morale o etica perché non c’è più nessun valore assoluto, nessun Dio. Non ci sarà nessuna “natura” da rispettare. Si andrà oltre la natura. Ci si difende dall’angoscia cercando la forza più potente: il sapere umano, o meglio, la “tecnica” che ne è conseguenza. Si potrà diventare anche immortali. Tutti i limiti saranno valicati – concude Branciaroli -. Immortale non è eterno; qualcuno tenterà di lasciare aperta la porta al divino, al passato di una cultura immensa da cui non si può prendere un definitivo congedo”.