
Nonostante le voci su una sua prossima partecipazione al programma televisivo Masterchef si facciano sempre più insistenti, lo chef stellato Cristiano Tomei, smentisce categoricamente: “A questa domanda non rispondo – dichiara deciso – Io non c’entro nulla con Masterchef, non so perché girano queste voci. Non credo di essere all’altezza – si schermisce sornione – Gli altri giudici sono troppo più bravi di me, non posso assolutamente competere. Io non posso entrare, non ho i numeri ma, – aggiunge – sono amico di Cracco”. Dunque a buon intenditor poche parole.
Se l’argomento Masterchef sembra essere arrivato a un capolinea – almeno quello imposto da Tomei – non è affatto terminato il grande successo dei suoi locali (L’Imbuto e Satura) e delle proposte ad essi legate. “Non so cosa significhi cucina classica – spiega – e nemmeno cucina sperimentale. Quello che so è che un tempo il pomodoro era considerato tossico e ora fa parte della nostra storia culinaria. Oppure penso alle cotture brevi del pesce, o il filo d’olio, ora sono tutte cose considerate normali, ma non era così 50 anni fa. Quindi significa che non esiste una cucina sperimentale. Ci sono due tipi di cucina: quella buona e quella cattiva, lì finisce la spiegazione. Il resto è frutto dei tempi”.
Tomei è un fiume in piena: “Ci sono due categorie: chi fa da mangiare e chi cucina. Chi cucina deve avere il coraggio di essere se stesso e tentare di creare sempre qualcosa di nuovo, chi fa da mangiare è altrettanto nobile ma replica qualcosa che altri hanno già fatto”. “Il cibo – aggiunge senza troppi giri di parole – deve essere ludico e evocativo non masturbativo e nemmeno scopativo”.
Qual è il suo primo ricordo da bambino legato al cibo? “Uno solo no – dichiara – Io ho sempre avuto problemi coi numeri, fin da bambino, ma ho una grossa memoria gusto-olfattivo che è la prima che si sviluppa nei neonati. Quella io ce l’ho dentro, è una cosa che mi ha sempre guidato. Per me la vita è fatta di gusti e sapori, infatti – scherza – quando sono raffreddato sono molto intrattabile”. L’Imbuto è un ristorante diverso, ma come è nata l’idea? “Non vuole essere diverso, nasce da una serie di cose arrivate nello stesso momento: intanto la condizione economica, che è cambiata e che non tornerà mai più quella di prima. Se diamo sempre la stessa offerta non ci si può lamentare della crisi. Bisogna cercare di dare alla gente cose diverse, con un approccio più libero anche se non ti dico cosa ti do. E’ tutto dettato da ciò che davvero deve essere la missione di un cuoco. Lo spirito del ristorante è estremamente flessibile, tutti i giorni c’è una cosa nuova. Col cliente si crea un rapporto di fiducia più intimo, anche se all’inizio è un pò forzato, poi nasce una complicità molto forte che si riflette su tutto, anche sulla scelta del vino. La nostra cantina infatti è progettata sulla nostra cucina”.
Creatività, libertà, genialità applicata al gusto e confezionata addosso al cliente come un abito sartoriale, un’offerta che va oltre schemi e ritualità predefinite: “La cosa stimolante è ricercare sempre cose nuove, io mi metto sempre in discussione e devo sentire che posso continuare a imparare. La cucina – conclude – è un’opera di artigianato, non un’opera d’arte: la cucina non si spiega, e chi lo fa non capisce nulla. Il mio è un approccio istintivo, molto semplice e senza fronzoli. Sono matto: non mi annoio e amo sperimentare”.
Tiziana Alma Scalisi