Esposto al museo di Villa Guinigi il sarcofago di piombo di Antraccoli: è un unicum in Toscana
Datato tra il 333 e il 543 d.C grazie a diverse analisi condotte sullo scheletro ritrovato al suo interno – tra le quali un rarissimo pezzo di stoffa – è stato possibile risalire alle caratteristiche del defunto: un autoctono di circa 50 anni, alto 1,68 metri con l’artrosi
Un ritrovamento unico – almeno al momento – in Toscana, dall’immenso valore storico. Il sarcofago di piombo, ritrovato nel 2015 durante i lavori di archeologia preventiva nell’area dell’ospedale San Luca, tra San Filippo e Antraccoli, da oggi (24 novembre), dopo un immenso e collettivo lavoro di restauro, sarà esposto in una zona di passaggio al primo piano del museo nazionale di Villa Guinigi. Accanto a lui, un pannello didattico, ne illustrerà la storia, dalla riscoperta agli studi che ne hanno svelato i particolari che rendono quel reperto un unicum del nostro territorio, a partire dal rarissimo ritrovamento di un pezzo di stoffa.
Storia che è stata illustrata questo pomeriggio da Angela Acordon, Soprintendente per le province di Lucca e Massa Carrara, da Stefano Casciu, direttore regionale dei musei della Toscana, Luisa Berretti, direttrice del Museo nazionale di Villa Guinigi, Giulia Coco già curatrice del Museo nazionale di Villa Guinigi e Neva Chiarenza, funzionaria archeologa della Soprintendenza.


Ma andiamo con ordine. Nel 2015, durante gli scavi per la costruzione del nuovo ospedale, l’architetto Alessandro Giannoni trovò davanti a sé una più antica sistemazione stradale, che collegava Lucca a Firenze due tombe antiche, una delle quali – quella esposta – ricoperta da calce e tegole. Da quel momento, la macchina di ‘recupero e salvataggio’ è stata messa in moto. Il sarcofago, pur con le difficoltà dovute sia all’estrema fragilità – si tratta di un reperto riconducibile a un arco di tempo che va dal 333 al 543 d.C -, sia alla pesantezza del piombo, ma anche alle dimensioni (circa 2 metri di lunghezza), è stato estratto e trasportato nel laboratorio fiorentino in attesa di un finanziamento per procedere con il suo restauro. Finanziamento arrivato nel 2018, quando il sarcofago è stato riportato sul territorio lucchese (a Capannori) per poi intraprendere un nuovo viaggio per Torino, e iniziare le operazioni di recupero.
Tra i bivi cui si sono trovati davanti gli esperti quello di decidere se estrarre lo scheletro rinvenuto dentro il sarcofago, opzione questa anche se dolorosa risultata alla fine vincente. Da una serie di analisi di laboratorio, svolte sulla struttura ossea è stato possibile ricavare straordinarie informazioni: lo studio di ossa e denti ha delineato il ritratto di un uomo adulto di 40-45 anni, alto circa 1,68, proveniente dall’area di Lucca (non scontato dato che i fogli di piombo non erano comuni nella zona) e abituato ad una dieta bilanciata, senza eccesso di carne. Sappiamo anche che trascorreva buona parte delle sue giornate in posizione accovacciata, forse in relazione ad un’attività lavorativa. Informazioni queste che vanno a smantellare l’idea comune tra gli esperti del settore che i fogli di piombo per la sepoltura venissero utilizzati solo da uomini di estrazione medio-alta. Tra le curiosità emerse grazie alla scienza, sappiamo anche che l’uomo soffriva di artrosi.

Durante lo studio dello scheletro è stato recuperato anche un altro reperto rarissimo per periodi così antichi: un frammento del sudario, inglobato in una zolla di argilla. L’analisi al microscopio ha rivelato i dettagli della trama e dell’ordito, mostrando un filato di origine vegetale (probabilmente canapa) e alcuni rammendi. Intorno alla testa del defunto, inoltre, era stato deposto un insieme di fiori e piante, rintracciati grazie all’analisi dei pollini presenti all’interno della cassa: camomilla, astro, garofano e silene.
Lo studio chimico del sarcofago ha infine chiarito come il piombo abbia reagito con l’acqua e il terreno circostante fino a mineralizzarsi, perdendo plasticità e diventando rigido e fragile.

Tutte le analisi svolte hanno permesso di raggiungere una rara completezza di documentazione, ma hanno anche guidato le fasi di restauro e di allestimento, con la scelta di esporre il sarcofago con il coperchio sospeso ed il frammento di tessuto accanto alle immagini del microscopio, passando per una serie di interventi di consolidamento e pulitura e con una attenta valutazione sugli aspetti della comunicazione al pubblico.
L’intervento di restauro ha coinvolto un’équipe multidisciplinare, che sotto la direzione della Soprintendenza di Lucca e Massa Carrara, ha visto all’opera la restauratrice Carmela Sirello (Torino), l’architetto Massimo Venegoni (Studio Dedalo di Torino), il professor Angelo Agostino (chimico dell’università di Torino), il professor Antonio Fornaciari (antropologo dell’università di Pisa), il dottor Alessandro Giannoni (archeologo di Lucca), il dottor Rémi Corbineau (palinologo dell’Université de Rennes), il dottor Daniele Arobba (archeobotanico del Museo archeologico del Finale) e la dottoressa Valeria Mongelli (antropologa).