Centro Europeo di Studi Arrigo Benedetti, un ricordo di Manlio Cancogni

Anche il Centro Europeo di Studi Arrigo Benedetti ricorda la figura del giornalista e scrittore Manlio Cancogni a pochi giorni dalla scomparsa. Sottolineando, peraltro, la superficialità di alcuni ricostruzioni storiche e della sua attività di giornalista emerse in questi giorni.
“Con la scomparsa di Manlio Cancogni (1916-2015) – dicono il presidente Alessandro Benedetti e il vicepresidente Alberto Marchi – si perde un altro straordinario protagonista e interprete di quella stagione giornalistica e culturale che coincise con i periodi dell’Europeo prima e dell’Espresso poi, diretti da Arrigo Benedetti. Cancogni (l’anno prossimo avrebbe compiuto 100 anni) fu uno dei principali inviati e cronisti a fianco di Benedetti fin dal tempo del primo Europeo edito da Gianni Mazzocchi (1945-1954). Quell’Europeo, per intendersi, che aveva svelato come la morte del bandito Salvatore Giuliano, diversamente dalla versione ufficiale del governo, era avvenuta non per mano dei carabinieri, ma ad opera del cugino Pisciotta, esecutore materiale di un regolamento di conti tra criminali”.
“Cancogni – proseguono – era un giornalista e scrittore affermato già dalla prima uscita de L’Espresso nel ’55, ma la vera consacrazione come grande inviato avvenne con la celebre inchiesta sulla corruzione e sulla speculazione edilizia nel Comune di Roma (Espresso numero 11 dell’11 dicembre 1955). Il famosissimo slogan Capitale corrotta=nazione infetta, non era però il titolo dell’articolo di Manlio Cancogni, che compariva alla pagina 3 di quel numero sotto il titolo Quattrocento miliardi. Capitale corrotta=nazione infetta era invece il titolo della prima pagina del settimanale nella quale Benedetti spiegava come l’avvocato Leone Cattani, esponente liberale e radicale, già assessore ai lavori pubblici del comune di Roma, aveva lanciato un forte j’accuse nei confronti della giunta colpevole di collusioni e di mostruosi favoritismi a beneficio degli speculatori edilizi”.
“Leggendo i molti commenti che in questi giorni sono comparsi sulla stampa nazionale in occasione della sua morte, dove quell’inchiesta è considerata come uno dei momenti caratterizzanti della sua attività giornalistica, si ha la sensazione che manchi qualcosa. Quasi da nessuno infatti l’articolo di Cancogni è stato collocato in un più ampio contesto, del bisogno cioè di moralità che animava la redazione de L’Espresso, ovvero il clima di libertà e di valorizzazione dei migliori talenti che caratterizzava le direzioni di Arrigo Benedetti. E nemmeno nessuno ha saputo ricordare che per quell’inchiesta, che suscitò grande indignazione pubblica nei confronti del governo, Cancogni e Benedetti furono condannati in appello a otto mesi di reclusione. Per la verità con la sola eccezione di Giuliano Ferrara che con bellissime parole, comparse sul Foglio del 2 settembre, ha saputo restituire la sostanza giornalistica vera dell’inchiesta di Cancogni. Come in altri casi, sembra evidente in molti articoli una certa superficialità nella ricerca delle fonti. Non si spiegherebbe altrimenti perché molti ritengano che il titolo di quell’inchiesta sia stato Capitale corrotta=nazione infetta, mentre è evidente che essa rientrava nel contesto di una più vasta indagine giornalistica: Benedetti infatti con quello “slogan” intendeva mettere in guardia dai pericoli che il degrado morale imperante nella capitale poteva costituire per tutto il Paese. Ferrara ha sicuramente letto quell’inchiesta, altrimenti non avrebbe potuto scrivere le penetranti considerazioni sulla Roma di ieri e sulla Roma di oggi, sul fare giornalismo ieri e su quello, per la verità sempre più superficiale, di oggi. E questo ci sembra sia il modo più appropriato di rendere omaggio alla figura giornalistica di Manlio Cancogni”.