Didattica a distanza, la dura vita delle matricole: “Ci hanno dimenticati”

Gli studenti: “I contatti umani sono fondamentali. Ci reputano adulti ma ne abbiamo bisogno anche noi”
Essere una matricola universitaria nell’anno del Covid-19 non è affatto semplice. A scriverci è una giovane lucchese: “Studenti dimenticati. Ormai è un anno che la didattica a distanza si protrae, e sono stati gli studenti più grandi ad essere considerati di meno, probabilmente perché considerati autonomi e capaci di gestire la didattica interamente da casa”.
“Mentre tutti gli ordini e i gradi di istruzione hanno avuto l’opportunità di riprendere in presenza da settembre scorso – continua la giovane studentessa – gli studenti universitari di molti atenei sono stati costretti a rimanere a casa. Questo, considerate tutte le componenti costitutive dell’ambiente universitario: spesso lunghi spostamenti, quindi anche una frequentazione prolungata dei mezzi pubblici, così come delle stesse aule, in cui a volte è anche difficile trovare posto per il sovraffollamento. Per svariate ragioni è stato deciso di non mobilitare almeno per quest’anno gli studenti e di continuare con la modalità da remoto, anche per il fatto di evitare di contribuire maggiormente alla diffusione del virus”.
“L’università di Pisa – spiega – ha deciso di procedere così, lasciando a casa i propri studenti, eccetto qualche corso di laurea a numero veramente limitato. E si può dire che abbia fatto la scelta giusta in quanto come si è potuto vedere, sia in autunno che adesso, nel mezzo della seconda e di un’ipotetica terza ondata, è la direzione che buona parte dell’Italia sta adottando di nuovo. Semplicemente l’università di Pisa ha preferito prevenire una situazione del genere e tutelare fin dall’inizio il più possibile chi fa parte dell’ambiente accademico. Senza però avere alcun riguardo verso i nuovi arrivati, che si sono catapultati in questa nuova esperienza da casa propria, senza aver avuto modo di approcciare cosa significhi veramente far parte di un ambiente molto diverso rispetto alla scuola superiore. Un ambiente che fornisce una preparazione e una formazione d’alto livello, che ha un costo, per il quale tra l’altro si paga un prezzo elevato, e tutto questo per viverlo dalla propria abitazione. L’intera situazione lascia disorientato e in una condizione di disagio chi si trova ad avere un primo approccio universitario in un anno particolare come questo”.
Lara Marraccini, studentessa al primo anno di medicina, ci racconta della sua esperienza come matricola universitaria: “Inizialmente è stato relativamente semplice approcciarsi alla didattica a distanza considerato che avevamo alle spalle l’esperienza pregressa delle lezioni da casa degli ultimi mesi delle superiori. Sostanzialmente l’unica cosa ad essere cambiata era la piattaforma: apparentemente non avevo l’impressione di essere all’università. Grande aspetto negativo questo, poichè il primo anno solitamente consiste nell’inizio di una nuova esperienza, in cui ti affacci ad un mondo completamente nuovo, non sei più un bambino ma ormai diventi parte dei grandi. Al di là della sola componente studio e del fatto che finalmente scegli di studiare qualcosa che ti piace, cambiano i rapporti interpersonali, sia dal punto di vista di nuove amicizie universitarie, sia per quanto riguarda l’approccio con i professori, che ormai ti considerano un adulto, non è più come alle superiori”.
“Tanto e tanto io – racconta – che avrei comunque vissuto una vita da pendolare Lucca-Pisa, ma in questa transizione a tanti ragazzi cambia veramente la vita e contribuisce in larga misura a formare la loro persona e a farla diventare matura e indipendente. Tanti probabilmente si sarebbero trasferiti in un’altra città, soprattutto in una facoltà a numero chiuso come la mia, in cui molti non hanno potuto accedere alla loro prima scelta e hanno dovuto accettare la città assegnata loro pur di iniziare ad intraprendere il percorso accademico medico. Invece la pandemia ha costretto molti studenti a seguire le lezioni da casa, chi dalla propria camera come me, dove passa praticamente tutto il suo tempo. In questo modo non è neanche possibile accorgersi della differenza, ‘del volo dal nido’. E poi non ci rimangono altro che le lezioni in questi lockdown alternati, quindi si è portati a sentire quasi soltanto la pesantezza dell’intera situazione. Risulta parecchio alienante. Anche il fatto di non conoscere nessuno non aiuta. Il passaggio dal liceo all’università è significativo. Per chi come me che ha iniziato questo percorso di studi senza avere nessuno con cui condividere l’esperienza è stato difficile, anche se poi sono riuscita a fare amicizia con alcuni ragazzi e creare il mio gruppo di studio, ma così a distanza è tutto molto più complicato: orientarsi, chiedere pareri, confrontare opinioni, anche perché in realtà non hai modo di conoscere i tuoi colleghi se non vedendo il loro nome illuminarsi sullo schermo quando intervengono a lezione”
Lara rivela anche che per lei il primo mese è stato particolarmente pesante, perché, università a parte, ha avuto tutti i membri della sua famiglia affetti dal Covid, eccetto lei che è rimasta sempre in salute. Quindi si è ritrovata isolata, in quarantena, e in questo nuovo contesto accademico con lo studio come unica valvola di sfogo. Non è stato molto piacevole.
“Ormai il primo anno abbiamo la certezza di concluderlo in questa modalità – ci scrivono le matricole – Si spera di avere l’opportunità di tornare a seguire le lezioni in presenza da settembre e di vivere a pieno l’esperienza universitaria, con tutto quello che ha da offrire”.
Tuttavia c’è da dire che la dad ha anche i suoi lati positivi: “C’è un grande risparmio a livello sia di tempo che di denaro, considerato che gli spostamenti sono completamente ridotti a zero. Quella che manca però è tutta la componente sociale, e ad influire è anche il fatto che siamo al primo anno: probabilmente fossimo stati più avanti nel percorso di studi non avremmo neanche dato tanto peso al fattore ‘distanza’ poiché tutto sommato la dad è anche efficace. In un futuro non troppo lontano, una possibilità potrebbe essere quella di adottare una modalità mista, metodo che viene già utilizzato dall’università di Firenze. Lì gli studenti hanno la possibilità di prenotarsi e di assistere alla lezione in presenza, ma la didattica a distanza viene comunque garantita per dare la possibilità a chi non può recarsi in facoltà di seguire comunque da casa. Un domani potrebbe tornare comodo anche per gli studenti che vivono lontano e preferiscono risparmiare su spese quali affitto, trasporti…”.
Un’altra matricola dell’università di Pisa, Costanza Cerri, frequentante la facoltà di ingegneria gestionale, esprime la sua opinione al riguardo: “Io credo che l’intera situazione nel complesso danneggi noi ragazzi del primo anno, nel senso che non siamo riusciti a vedere l’aspetto migliore dell’università, che sono sicura non consista nello studio soltanto. Poiché siamo costretti a vivere le lezioni da casa non è possibile venire in contatto con nuove persone e siamo del tutto privi della componente sociale. Non mi riferisco solo a ipotetiche nuove amicizie con altri studenti, ma anche dal punto di vista educativo perdiamo completamente il contatto umano, con i professori ad esempio, che si trovano ad avere un contatto diretto con noi soltanto nel momento dell’esame. Durante le lezioni per loro è come parlare ad uno schermo nero, difficilmente viene messa in atto un’interazione efficace tra professori e studenti. Ci risulta ancora più difficile capire come sia un vero ambiente universitario in quanto è come se non ne facessimo parte, come se non fossimo ancora all’interno di esso”.
“Personalmente mi trovo abbastanza bene – racconta – Sono riuscita a mettermi in contatto con nuovi ragazzi che ho trovato molto disponibili nei miei confronti, anche perché penso ci sia una solidarietà generale dovuta all’intera situazione. Io ho avuto la fortuna di avere altri ragazzi che già conoscevo intraprendere il mio stesso percorso universitario. All’inizio mi sono sentita di più con loro, ci davamo una mano a vicenda studiando insieme e confrontandoci, poi attraverso anche queste nuove attività di Tutorato d’Accoglienza introdotte quest’anno, sono venuta a contatto con molti altri ragazzi e le ho trovate molto utili per orientarmi. Per quanto riguarda le lezioni, grazie alle piattaforme digitali a cui si appoggia la didattica a distanza, possono assistere molti studenti in più. In una situazione normale invece non sempre tutti hanno la possibilità di partecipare considerando il fatto che un’aula tradizionale ha una capienza limitata. La dad elimina questo problema, anzi, per certi versi è migliore dell’esperienza in presenza in quanto consente di ascoltare e seguire meglio le lezioni perché è come se fossimo tutti ad un primo banco”.
“Non ci sono problemi a capire le spiegazioni dei professori e teoricamente uno studente potrebbe anche non perdersi niente anche se non è sempre così in pratica. Inoltre – racconta – il fatto che ci sia la possibilità di accedere alle registrazioni delle lezioni è un gran vantaggio, perché così c’è modo di non perdersi alcuna lezione nei suoi dettagli anche se è si è impossibilitati a seguirla per motivi personali. Al tempo stesso però, se fossimo stati in presenza non saremmo oggetto di distrazioni continue come avviene tra le quattro mura di casa. Nel mio caso particolare, io ho tre gemelli, e siamo tutti alle prese con l’inizio di un nuovo percorso accademico. Ognuno ha il suo computer e si gestisce autonomamente senza problemi, l’unica cosa è che dobbiamo dividerci gli spazi e distribuirci in stanze diverse perché è facile infastidirci a vicenda. Per fortuna ormai siamo grandi e non abbiamo avuto difficoltà”.
“Nonostante i vantaggi – conclude – penso che la didattica a distanza non sia migliore della lezione in presenza perché per me i contatti umani sono fondamentali e ritengo che anche all’interno della propria aula di studio siano la cosa più importante. Spero davvero che riusciremo ad uscire da questa situazione il prima possibile e di tornare in presenza il prossimo anno accademico, considerato anche che abbiamo vissuto il nostro primo anno di università, quindi un terzo del nostro percorso accademico (se tutto va secondo i piani) senza neanche metterci piede”.