Mangiavamo sulle gabine. Della serie “cercandoti nel piatto”

Alla ricerca delle vacanze perdute, viaggio in altri tempi e altri sapori, quelli dei ricordi. Un tris mare, monti e giostre.

La cosa grandiosa alla fine della scuola a giugno era evidentemente la fine della scuola, anche se io mi divertivo parecchio pure durante. Forse anche troppo, se mai un divertimento sia stato troppo.

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Tutti dicevano che ero vivace e che avevo l’argento vivo addosso. Probabilmente avevo anche altri metalli non identificati, se si considera che alle elementari ricevevo un voto di condotta giornaliero da riportare firmato dai genitori, e che il ricordo che ho del mio maestro, un signore alto distinto con i lineamenti distesi e con la brillantina, era la sua faccia con i lineamenti alterati, i capelli scomposti in mazzetti come solo la brillantina sa fare, e la sua voce che dice-comanda-implora “Francesco fermati un po’” mentre cerca di acchiapparmi e contenermi.

Per lui la cosa grandiosa della fine della scuola era che per 3 mesi non mi avrebbe visto e si sarebbe riposato i lineamenti e i capelli.

Per me l’estate senza scuola era un antipasto misto mari monti e iniziava con un mese a Viareggio dove i miei prendevano in affitto “la casina” sul mare al bagno Silla, all’inizio della passeggiata sopraelevata ai confini con il Lido di Camaiore, accanto al locale notturno (si chiamavano così le discoteche con cantanti dal vivo) Caprice, dal 1965 Piper (e vai con Patti Pravo, la ragazza del Piper per i picodellamirandola)

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La libertà di abbandonare i vestiti sentire la sabbia con i piedi nudi e abbronzarsi ogni giorno con la pelle che si induriva e sbiancava sotto il sale dei bagni ripetuti era un senso di libertà totale

Oggi i bagni hanno entrate con vegetazione tipo giardini pensili di Babilonia, sono rimaste le “casine” pure rimesse ammodino e palestrate, ma poi inizia una serie iperproteica di display determination: piscina (a 20 mt dal mare…),wi-fi, bar con salotti e poltrone bianche sotto enormi tende, ristorante e pizzeria e focacceria etceteria, camerieri indaffarati (forse i beduini delle tende?) e poi la fila di pochi ombrelloni e di nuovo molte tende. O solo tende per gli sciccosi che fanno molto sceicco, specialmente nei prezzi…sì, tende e vegetazione, oasi nel deserto, anche se poi siete al mare e traffico alle spalle. Mah…

La prima differenza fra allora e oggi è che allora dalla passeggiata mare a si vedeva il mare (eh… la filologia non è un’opinione). Il bagno iniziava con un paio di abitazioni, poi la fila delle gabine sopraelelvate con un’isola a metà con 3-4 tavolini e con un biliardino prima della scaletta che portava alla spiaggia vera e propria con gli ombrelloni.

La fila delle gabine iniziava con un bagno per gli uomini e uno per le donne, davanti alle gabine in fila un lavandino, una doccia, poco più in là un’altalena fissata nella sabbia e un tavolo da ping pong in cemento. Sotto le gabine il rimessaggio di remi, sedie a sdraio e altro nella penombra sabbiosa. Fine

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Anni ’60, in quello stesso bagno no bar-no party, l’unico appoggio alimentare era la ghiacciaia dove il bagnino teneva i ghiaccioli (ergo il gelataio portava i gelati, il pesciaio vendeva il pesce e così onomatopeicamente andando) e poche bibite: aranciata e chinotto San Pellegrino in panciute bottigliette di vetro rugoso e le alternative Oransoda e Lemonsoda.

Poi tutto il food marketing era dato a chi passava sulla spiaggia con grosse ceste di vimini coperte con cenci bianchi. I “vu’cumprà” non c’erano e la gente non voleva falsi status symbol falsi: voleva riempirsi la pancia. I ricordi della guerra erano ancora freschi.

Dentro le ceste, sotto i cenci c’erano pizzette morbide, cialde secche salate o zuccherate. Fuori dalle ceste c’erano tutti i bambini che avevano fatto il bagno e quindi potevano mangiare. I più sfortunati avevano genitori rigidi che dicevano di solito “no, si mangia dopo a casa” oppure antipatici e previdenti che si erano portati le fette di pane con qualcosa o dei biscotti tristi. E così lo sherpa che portava le focaccine di Duilio e suonava la trombetta piroettando ogni tanto come un derviscio tourneur e gridando “STIACCIATINE… fogaccine!” per loro passava invano.

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Della stessa tribù del primo, una vecchia grassa con i capelli bianchi e delle paste accaldate fra le quali occhieggiavano le “pesche”, tipo dei culi di bimbo inzuppati nell’alchermes, rotolati nello zucchero e con in mezzo un po’ di crema gialla dolcissima. Roba che una nutrizionista di oggi ti manderebbe a Guantanamo. Di lì a poco sarebbe passata una vecchietta più segaligna con i capelli neri e secchi come la sua faccia e come le sue focaccine, dolci o salate. Lei cantilenava anche: “Bimbi… le mente… le mentine…”. In pratica i progenitori low cost degli smarties. Acqua rappresa con zucchero, colori e forme anarchiche, un dolcemente approssimativo come tutto nei tempi che si ricordano, ma sempre più umano del mondo di veline e big Jim che avrebbe stressato le generazioni a venire. Gli smarties li hanno dovuti fare ogm per non farli sciogliere in mano, le mentine erano esenti da rughe per virtù naturali. Tiè!

Per il bere invece passava un tipo atletico e abbronzato in maglietta o in canottiera bianca (ma non era un leghista) con a tracolla una piccola cassetta bianca, piena di bibite, ghiaccio e qualche gelato. Lui gridava appropriatamente: “Bibite, gelati!!!”, però la specialità della spiaggia era l’urlatore di COCCO BELLOOOOOOOOO che, strusciando i piedi nella sabbia (ahi ahi come bruciava…), si portava in giro su e giù (o qua e la dipende da come guardate il litorale) due secchi in ferro con dentro cocco e acqua. E ti svegliava di botto se dormivi, accidenti a lui e al suo coccobello…

Andavamo alle gabine Francesco Funaioli

Non c’erano aperitivi, solo il pranzo. Sulle gabine, che voleva dire nello spazio coperto con una tettoia di lamiera, che era più alta di un metro sulla spiaggia, a metà della fila delle gabine. Qualche tavolo, sedie e panca perimetrale di ferro e legno corrosi dalla salsedine e imbevuti di vernici a più strati (+ anni aveva il bagno + strati di vernice…)

All’ora tarda del pranzo estivo (le donne più accorte avevano preso il posto in anticipo, gli altri aspettavano…), era tutto uno scodellare di frittate, cotolette bianche di sale nella carta gialla, pomodori rosso vivo e cipolle profumate bianche con le striature blu metallico. E quell’odore di aceto sulle insalate riccioline e bionde.

Il venerdì poi arrivava papà con la 1100 bicolore e il bagagliaio pieno di roba dell’orto, così si mangiava sulla veranda della casina tonno (eravamo al mare no??) cipolle e pomodori. Il tonno non era dell’orto, era della scatoletta.
Con il papà si usciva dopo cena lavati e vestiti o per la passeggiata corta, e allora era sicuro il gelato-topino-sullo-stecco ai “sorci verdi” oppure (ganzissimo) per la passeggiata lunga, fino al molo, con le vetrine,e allora magari voleva dire il gelato dell’Orsi, quello spatolato a rosa del deserto, che si apriva sul cono come l’alba si sporge sull’orlo del domani e che costringeva a leccate funamboliche, e forse, con un po’ di fortuna, il papà ci avrebbe fatto fermare , me e mia sorella, al Gianni Schicchi, una delle prime sale giochi, roba giurassica da ridere ora, per noi un eldorado.

Andavamo alle gabine Francesco Funaioli

E alla fine, prima di ritornare indietro, una focaccina da Tito del Molo? Chissà…

Andavamo alle gabine Francesco Funaioli

Tutto, la sera, dal cibo alle tavole con la crosta tinteggiata mille volte e rose dal salmastro e alle balaustre arrugginite ma verniciate di rosso anche loro come vecchie con il rossetto, proprio tutto aveva un gusto salato e familiare, come le lacrime furtive, quelle asciugate con la lingua prima che, cadendo, facciano rumore.

C’era come un copione scritto nel fluire del mese: ci sarebbero state le scottature dell’inizio, i giorni caldi, i bagni, il bagnino che “fa” le arselle e poi la mamma che le cucina nella padella grande con sugo e pepe, da stare con la bocca sotto la cannella dell’acqua. Sarebbe venuto il primo pomeriggio con quasi nessuno e pochi stranieri a rosolare al sole forte e i tramonti quando le persone se ne vanno e il mare si calma, come se durante il giorno si affaticasse a ondeggiare e dare spettacolo ai vacanzieri.

Ci sarebbero stati i giorni dispari di libeccio con la bandiera rossa, gli ombrelloni chiusi e la sabbia sparata sulla pelle
Il mese stava finendo, talvolta venivano degli acquazzoni, come se volessero preparare il cambio delle persone allo scoccare dell’ultimo giorno.

Andavamo alle gabine Francesco Funaioli

La spiaggia il giorno dopo era piatta e fredda anche con il sole che era tornato. Ci si giocava benissimo a pallone.

…continua

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