Nasce a Lucca un centro per le malattie rare

15 febbraio 2019 | 15:43
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Nasce a Lucca un centro per le malattie rare

Sarà lanciato il 2 marzo il progetto per la creazione di un centro per le malattie rare a Lucca. Un obiettivo ambizioso, che nasce dalla volontà dell’associazione Amici del cuore di offrire una risposta concreta a chi fa esperienza quotidiana della fatica di vivere a fianco di persone per le quali la ricerca, ancora, non ha compiuto sufficienti passi in avanti. Ad oggi, in tutto il mondo, si contano circa 8mila tipi di malattie rare. L’annuncio è arrivato questa mattina (15 febbraio) dal presidente dell’associazione, Raffaele Faillace, nel corso della seduta della commissione sociale del Comune di Lucca. “Vorrei che questo progetto – ha detto – fosse sentito da tutta la città. Stiamo intessendo una rete di relazioni importanti per svilupparlo: per esempio, cercando il coinvolgimento di Telethon. Vogliamo fare del centro un punto di ascolto delle necessità delle famiglie che condividono una persona affetta da malattia rara, ma non solo. Il centro sarà anche un luogo dove svolgeremo attività sanitaria e di orientamento verso i centri nazionali che si occupano di specifiche malattie rare. Ma, soprattutto, a Lucca si svolgerà ricerca scientifica”.

La riflessione di Faillace si è poi concentrata sull’organizzazione dei servizi secondo il principio di sussidarietà. “L’Italia investe nel servizio sanitario nazionale il 6,3 per cento del Pil. Una riduzione della spesa di un punto percentuale rispetto a pochi anni fa – ha rilevato – che ci pone al di sotto di altri paesi europei come Germania e Francia e che deve allarmare, perché quando si scende sotto il 6,4 per cento le aspettative di vita di una popolazione diminuiscono”. È stata questa la constatazione iniziale di Faillace, già direttore generale della Asl 2 di Lucca dal 1994 al 2000. “Un definanziamento alla spesa eccessivo – ha continuato Faillace – che parte dall’assunto che la sanità costituisca soltanto un costo, che sia puro assistenzialismo. Invece la sanità è un motore di sviluppo economico. La crisi economica ha acuito i divari sociali: si stima che in Italia, oggi, ci siano 5 milioni e mezzo di nuovi poveri. Una crisi – ha osservato – che si è tradotta in uno sfaldamento progressivo dei corpi intermedi, nel loro non riuscire a essere più punti di riferimento sociali: mi riferisco ai sindacati, ai partiti. In questo scenario, tuttavia, l’unico corpo intermedio che ha dimostrato di saper resistere e funzionare è il terzo settore”.

“E allora chiamiamolo in causa, il terzo settore – ha incalzato Faillace – con l’obiettivo della sussidarietà. Un modello che in Toscana è già una realtà e che ha le sue linee guida nel piano socio-sanitario regionale. È grazie al terzo settore che si possono contenere le spese del servizio sanitario pubblico, grazie all’ampio lavoro che soggetti come Croce Rossa, Croce Verde e Misericordia, per citarne alcuni, fanno sul territorio anche in ottica di prevenzione. Quello che manca, tuttavia, è una struttura di ingegneria sociale, mi si passi il termine. Manca, cioè – ha spiegato ancora Faillace – una capacità progettuale-esecutiva, che al momento è lasciata all’autonomia dei singoli territori. Questo fa sì che vengano meno percorsi socio-assistenziali chiari”.

È da questa riflessione che Raffaele Faillace, forte anche dell’esperienza del Centro di sanità solidale, che propone prestazioni sanitarie low cost, lancia uno stimolo di discussione alla commissione presieduta da Pilade Ciardetti: “È necessario dare struttura a una rete – ha detto – i cui nodi siano costituiti dai servizi sociali del Comune, dai servizi sanitari territoriali e da quelli del terzo settore. Un ruolo chiaro, in questo senso, possono giocarlo i medici di base. Questi nodi della rete, insieme, devono poter stabilire i percorsi per il cittadino. Anziutto, facendo un censimento delle situazioni di difficoltà presenti sul territorio e realizzare un database dei bisogni. Gli enti pubblici, poi, devono poter riuscire a dare una risposta univoca ai bisogni del cittadino evitandogli appesantimenti di passaggi burocratici. Le persone in difficoltà, penso ad esempio a chi ha un familiare disabile o affetto da una malattia rara, non hanno tempo di fare la spola tra uno sportello e un altro per ottenere quello che sarebbe un loro diritto avere”.

Una proposta, quella di Faillace, immediatamente raccolta dalla consigliera con delega alla sanità Cristina Petretti: “La rete evita ridondanze e sovrapposizioni. Ogni nodo della rete deve corrispondere a un compito, anche per evitare ping pong di responsabilità. È questa la via per recuperare l’appropriatezza dei servizi. Una rete ben funzionante può determinare, è comprovato, una riduzione della spesa sanitaria proprio per la sua capacità di agire in prevenzione”.

Temi che possono partire anche dai banchi di scuola: “Abbiamo lavorato, come associazione – racconta Faillace – con diverse classi di studenti e abbiamo lanciato dei concorsi tematici che ci hanno stupito. I ragazzi dimostrano di avere una grande capacità di comprendere l’importanza dell’educazione alla salute e ai corretti stili di vita. La loro energia, nel tessuto sociale, può essere fondamentale anche per capillarizzare l’informazione”. “Il privato sociale – conclude – e il privato propriamente detto reclamano a gran voce una governance pubblica. È questa la direzione da percorrere, con il supporto dell’innovazione e della digitalizzazione”. “Il Comune – ha commentato il consigliere Alessandro Di Vito – dovrebbe avere in mano il polso delle situazioni di povertà e disagio sul territorio: una mappatura che possa essere condivisa con il sistema sanitario, in modo da offrire risposte ai bisogni. Bene la sussidarietà, ma non deve essere alternativa al sistema pubblico, che deve potersi riappropriare del suo ruolo nella gestione dei servizi”.

Elisa Tambellini