“Non di solo covid si muore”, al via la campagna della Rete di solidarietà popolare contro la “corsa al riarmo”

22 aprile 2021 | 11:22
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“Non di solo covid si muore”, al via la campagna della Rete di solidarietà popolare contro la “corsa al riarmo”

Dal prossimo fine settimana il gruppo inizierà il volantinaggio nelle piazze e nei mercati

“Non di solo Covid19 si muore”. Così la Rete di solidarietà popolare di Lucca a partire dal prossimo fine settimana porterà avanti la campagna di denuncia e mobilitazione contro la “corsa al riarmo e le spese militari previste dal Recovery plan” con un volantinaggio nelle piazze e nei mercati della Piana.

“La pandemia sta producendo morti e sofferenza ma non è l’unico pericolo che incombe sull’umanità: riprende la corsa al riarmo e aumentano le spese per le armi – si legge nella nota -. La vaccinazione in Italia ed Europa langue e non viene considerata la possibilità di produzione pubblica dei vaccini lasciando lievitare a dismisura i profitti delle multinazionali del farmaco. In questa drammatica situazione gli Usa, del cattolico democratico Biden, annunciano che in Europa arriverà un nutrito pacchetto di nuovi, ultramoderni missili ipersonici nucleari. Verranno probabilmente piazzati in Germania, Italia, Polonia, Romania che diventano così i primi bersagli in un ipotetico conflitto. La Russia infatti non sta a guardare e ha approntato un programma di riarmo con missili ipersonici nucleari altrettanto micidiali di quelli Usa. Si va verso una riedizione della guerra fredda Usa-Urss anni ‘50-‘60? No peggio, perché le nuove tecnologie rendono ancor più devastanti le conseguenze di un eventuale conflitto”.

“Il nostro paese è perfettamente allineato e complice degli Usa in queste scellerate scelte, sostenendo senza nessuna remora le spese militari – prosegue la nota -. Addirittura le commissioni di camera e senato spingono affinché al settore militare, oltre ai finanziamenti già previsti – 27 miliardi di euro , il 18% dei fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034- venga destinata una parte del Recovery plan. Denuncia la Rete Italiana Pace e Disarmo: ‘una parte dei fondi del Recovery Plan – si legge nel comunicato diramato da Ripc –verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d’arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta’ “.

“D’altra parte è lampante l’importanza che si dà all’industria militare quale vettore di sviluppo economico ed occupazionale. Nel marzo 2020, mentre tutta l’Italia chiudeva per il Covid 19, le fabbriche di armamenti potevano decidere autonomamente se rimanere aperte grazie ad una concessione del governo che arrivava a definirle ‘apicali’. E lo confermano gli elementi portati all’attenzione del grande pubblico nella trasmissione di Rai3 Presa Diretta del 22 marzo: la ‘dittatura delle armi’ riesce a proteggere con qualsiasi governo gli affari militari. Ma in che misura ciò è vero? Il fatturato, in epoca pre-covid, secondo stime ufficiali ed insospettabili oscilla tra i 15,5 ed i 17 miliardi di euro, pari circa allo 0,9%  del Pil: con queste cifre è plausibile sostenere che il comparto è degno di essere considerato fondamentale al punto di meritare massicci investimenti pubblici e chiudere gli occhi sugli aspetti etici e normativi  non rispettati? L’altro cavallo di battaglia è l’export: in realtà su 480 miliardi di euro di “made in italy” esportato, solo lo 0,7%  (dati dalla relazione al parlamento della legge 185/90) è attribuibile ai prodotti militari – va avanti la nota -. Ma l’argomento più esaltato per magnificare la necessità di una forte produzione nel settore è l’occupazione. Anche qui le varie stime, sempre da fonti industriali, dimostrano l’irrisorietà dell’incidenza occupazionale nel settore rispetto al totale: 50.000 unità che salgono a 200-230.000 con l’indotto (peraltro non tutto direttamente attribuibile a prodotti militari) pari allo 0,21 % (1% con l’indotto) della forza lavoro italiana a fine 2020″.

“E’ evidente come gli aspetti economico-occupazionali siano un pretesto e la vera scelta è quella di sostenere il profitto e le scelte guerrafondaie – conclude la nota -. E l’opinione pubblica viene tenuta all’oscuro di tutto ciò. I grandi mezzi di informazione sminuiscono, quando non citano proprio, perfino gli appelli del papa (l’ultimo a Pasqua), solitamente osannato in altre circostanze, laddove denuncia gli arsenali militari e l’aumento delle spese militari”.