Freddato sotto casa a Camaiore con 15 colpi di pistola: a 10 anni dal delitto il ricordo della famiglia

La figlia Stella, neo mamma: “Ci manchi, saresti stato un nonno meraviglioso”
Domani (8 febbraio) ricorrono 10 anni dal terribile delitto avvenuto a Camaiore, vittima Stefano Romanini. E le figlie, Stella e Serena, cosi come la vedova Giuliana, non dimenticano.
“Ogni anno la stessa storia: 8 febbraio – si legge nel post su Facebook della famiglia -. E tutto riporta i ricordi brutti e strazianti della mattina del tuo omicidio”. “Questa volta – spiega Stella, da pochi mesi diventata mamma della sua bellissima Gioia – è un colpo in più, perché saresti stato un nonno premuroso e giocherellone. Ti amiamo tanto e manchi terribilmente, io so che in qualche modo sei lo stesso con noi”.
Fu un agguato in piena regola, una vera e propria esecuzione. L’omicida, incappucciato e armato, lo aveva aspettato sotto casa e quando l’imprenditore era uscito per dirigersi alla sua auto, una Golf grigia parcheggiata di fronte, iniziò a sparare: per Stefano Romanini, all’epoca 46 anni, non ci fu niente da fare. Colpito dai numerosi proiettili esplosi a distanza ravvicinata dal suo assassino, l’uomo si era accasciato in terra in una pozza di sangue ed era morto poco dopo il suo arrivo all’ospedale Versilia .
Fu un’alba di sangue quella dell’8 febbraio 2011 nella centralissima via Battisti, di fronte al noto ristorante Il Centro Storico. L’imprenditore, titolare di una ditta di escavazioni, la Serena Scavi, ex Escavazioni di Stefano Romanini, sposato con Giuliana Pellegrini, casalinga, e padre di due ragazze, Serena e Stella, era uscito per andare a lavorare, come ogni mattina, ignaro che ad aspettarlo sulla strada ci fosse il suo carnefice: alto, magro, vestito di nero, cappuccio in testa e in pugno una pistola calibro 9. Mai trovato. La prima persona a dare l’allarme fu la moglie di Romanini, che sentendo i colpi di pistola si era affacciata alla finestra e aveva visto il killer fuggire a piedi imboccando via Fonda per poi dileguarsi senza lasciare traccia. La donna, sotto choc, era scesa in strada dal marito che agonizzava a terra: “Mi sento affogare”, furono le uniche e ultime parole dell’uomo colpito a morte dai proiettili. Nonostante il tempestivo intervento di un’ambulanza del 118 che lo aveva trasportato immediatamente al pronto soccorso, Stefano Romanini morì poco dopo il suo arrivo al nosocomio versiliese. Sul posto le volanti del commissariato di polizia di Viareggio, all’epoca diretto da Leopoldo Laricchia, a cui furono affidate le indagini, i reparti della Scientifica che avevano eseguito i primi rilievi balistici, e la squadra mobile da Lucca, con l’allora dirigente Virgilio Russo. L’auto di Romanini, dietro alla quale la vittima aveva cercato di trovare riparo dalla furia omicida del suo assassimo, era stata completamente crivellata dagli spari. Furono esattamente quindici i colpi di pistola esplosi dal killer. Una storia agghiacciante, con una indagine lunga oltre 2 anni, approdata, il 9 maggio 2014, con la richiesta, formulata dal pubblico ministero Fabio Origlio, di rinvio a giudizio del cugino della vittima, Roberto Romanini, accusato dalla Procura di omicidio premeditato, nelle vesti di mandante, e porto abusivo di armi. Poi un processo iniziato, con una prima udienza, e annullato, un nuovo procedimento, con due condanne all’ergastolo sia in primo grado che in appello. In attesa che la corte di cassazione scriva la parola fine alla vicenda giudiziaria rimasta senza aver mai individuato chi materialmente quella mattina di 10 anni fa sparò, uccidendo la vittima.