Rifiuti e inquinamento, uno studio americano: “Pfas in 21 dei principali marchi di carta igienica al mondo”

29 marzo 2023 | 15:22
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Rifiuti e inquinamento, uno studio americano: “Pfas in 21 dei principali marchi di carta igienica al mondo”

Tra i composti più diffusi ritrovati il Pap, ritenuto collegato alla disfunzione testicolare. Dalla Ue una proposta per ridurre al minimo il loro utilizzo

Si tratta dei famigerati Pfas, composti chimici che non si degradano nell’ambiente, si bio-accumulano in tutti gli organismi viventi e sono collegati a diverse patologie, tra cui tumori, malattie autoimmuni, infertilità e complicazioni in gravidanza.

L’ultimo studio sul tema è stato realizzato da un gruppo di scienziati dell’università della Florida che ha esaminato 21 principali marchi di carta igienica utilizzati in Nord America, Europa occidentale, Africa, America centrale e Sud America e rilevato, sia nei marchi che utilizzano carta riciclata sia in quella che non la utilizzano, sei composti Pfas. Tra questi il più diffuso era il Pap (diestere fosfato di fluorotelomero), un composto non ancora studiato in modo approfondito ma collegato alla disfunzione testicolare. Lo studio ha anche scoperto che il Pap può trasformarsi una volta nell’ambiente in Pfoa (o acido perfluoroottanoico), un composto altamente tossico classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro come possibilmente cancerogeno per l’uomo.

Lo studio ha anche analizzato le acque reflue in otto impianti di trattamento e ipotizzato che il Pap trovato nelle acque reflue derivi in gran parte dalla carta igienica. Tuttavia, i Pfas sono così comuni che è difficile individuare con precisione la loro fonte. “Questo – ha affermato Jake Thompson, autore principale dello studio – ci collega a un problema più ampio legato all’uso diffuso delle sostanze chimiche, e come società dobbiamo decidere cosa fare riguardo a questo problema. Non sto dicendo che le persone dovrebbero smettere di usare o ridurre la quantità di carta igienica che usano – ha aggiunto Thompson – ma solo che abbiamo identificando un’altra fonte di Pfas e ciò evidenzia che le sostanze chimiche sono onnipresenti”.

Il rapporto dell’Università della Florida non ha esaminato le implicazioni per la salute dell’utilizzo della carta igienica contaminata. Quel che si sa è che i Pfas possono essere assorbiti dermicamente, ma non esistono ricerche che spiegano come possano entrare nel corpo mentre si utilizza la carta igienica. Le aziende produttrici non aggiungono intenzionalmente Pfas alla carta. “I livelli di Pfas rilevati sono sufficientemente bassi da suggerire che le sostanze chimiche vengano utilizzate nel processo di produzione per evitare che la pasta di carta si attacchi ai macchinari – ha affermato Thompson – i Pfas sono spesso usati come lubrificanti nel processo di produzione e alcuni dei prodotti chimici sono comunemente lasciati sui o nei beni di consumo”. Le aziende insomma potrebbero non essere consapevoli del fatto che sono presenti nella carta igienica perché potrebbero provenire dal produttore degli strumenti che utilizzano nel processo industriale.

I luoghi contaminati da Pfas in Italia, cosa dice Arpat e il silenzio della Regione Toscana

Non si registrano al momento inchieste della magistratura regionale per verificare eventuali illeciti a danno di ambiente e salute nonostante i vari allarmi degli ultimi tempi e i dossier

Il Forever Pollution Project(di cui abbiamo dato conto con un articolo pubblicato il 27 marzo scorso) una recente inchiesta giornalistica che ha coinvolto 18 redazioni europee guidate dalla francese Le Monde, ha individuato oltre 17mila siti contaminati da Pfas in tutta Europa, di cui 1600 solo in Italia, a cui si aggiungono altri 21 mila siti in cui è possibile la presenza di Pfas e 2100 luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute. Nel nostro paese sono coinvolte non solo alcune aree del Veneto, uno degli epicentri europei dell’emergenza, ma anche aree del Piemonte limitrofe allo stabilimento della Solvay, specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana (in particolare Lucchesia e Pisano). Ma se consideriamo che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari, la reale portata di questo disastro ambientale è ancora sconosciuta, in Italia come nel resto del mondo. Per la Toscana Arpat, che è all’avanguardia in Italia per studi sui Pfas rispetto alle altre agenzie regionali, ha più volte sollevato il problema e approfondito la materia anche nell’ultimo annuario sull’ambiente dello scorso autunno.

Generico marzo 2023Generico marzo 2023

Nel dossier si spiega molto chiaramente che “il 70% delle stazioni in acque superficiali e il 30% delle stazioni in acque sotterranee presenta residui di Pfas. Tutti i campioni del biota (il complesso degli organismi vegetali e animali  che occupano un determinato spazio in un ecosistema  hanno residui di Pfas”. E aggiunge: “Il 37% delle stazioni in acque superficiali monitorate supera gli standard. Nelle acque sotterranee e nel biota non si rileva alcun superamento”. Le acque superficiali sono tutti i laghi e i fiumi e le acque stagnanti mentre quelle sotterranee sono le falde. Ora siccome nessuna soglia è sicura perché i Pfas si bio-accumulano negli organismi viventi è evidente che anche laddove non siano state superate le soglie il problema e i rischi per ambiente e salute esistono ugualmente e se non si interviene  la situazione è destinata a peggiorare. In attesa di nuove indicazioni dall’Ue, che va verso il bando dei Pfas, e di una normativa nazionale, nonostante le soglie di sicurezza si stiano abbassando negli anni, la Regione Toscana appare ferma al momento e tace sull’intera questione. Eppure i Pfas ritrovati da Arpat, sotto o sopra soglia poco importa, arrivano da “qualche parte”. Ma da dove? Le ipotesi in letteratura scientifica esistono e Arpat in commissione parlamentare ha indicato in Toscana alcune direzioni ben precise nella relazione finale a deputati e senatori pubblicata lo scorso anno, ma al momento non si registrano inchieste da parte della magistratura regionale né verifiche regionali e ufficiali.

Proposta di restrizioni all’utilizzo dei Pfas in Ue,  verso la cosiddetta “soglia zero”

Danimarca, Germania, Olanda, Norvegia e Svezia hanno presentato a Echa una proposta di revisione del regolamento Reach, il 13 gennaio scorso. Al preciso scopo di restringere a livello Ue le condizioni di utilizzo di circa 10 mila Pfas e così ridurre le loro emissioni nell’ambiente, oltre a rendere più sicuri i processi e i prodotti industriali. La proposta sostiene le ambizioni della strategia Ue sulle sostanze chimiche e del piano d’azione Inquinamento zero. Ora i nostri comitati scientifici inizieranno a valutare e a formulare pareri. Anche se la valutazione di una proposta così ampia, con migliaia di sostanze e molti usi, sarà impegnativa, siamo pronti”. Così Peter van der Zandt, Echa (l’agenzia europea delle sostanze chimiche), direttore per la valutazione dei rischi. Entrambi i comitati formuleranno i loro pareri sulla base delle informazioni contenute nella proposta dei cinque Stati membri e dei commenti ricevuti durante la consultazione pubblica a calendario per un periodo di sei mesi, a decorrere dal 22 marzo scorso. “Se i rilasci di Pfas non vengono ridotti al minimo, le persone, le piante e gli animali saranno sempre più esposti e, senza alcuna restrizione, si raggiungeranno livelli tali da avere effetti negativi sulla salute delle persone e sull’ambiente. Le autorità stimano che circa 4,4 milioni di tonnellate di Pfas finirebbero nell’ambiente nei prossimi 30 anni se non si interviene”. Più chiaro di così.

In che ambiti industriali si utilizzano i Pfas

Le sostanze perfluoroalchiliche sono utilizzate a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso in numerose applicazioni industriali. Sebbene il regolamento Reach abbia introdotto restrizioni all’impiego di alcuni Pfas, è tuttora in corso l’uso di migliaia di sostanze non regolamentate. Gli utilizzi industriali possono venire ricondotti a tre macrocategorie: trattamenti di rivestimento (volti a ottenere la repellenza ad acqua, grassi e oli) di materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti; carta e cartoncino, contenitori e stoviglie monouso, fondi antiaderenti per cottura (Teflon) e pentole; trattamenti superficiali, in particolare di prodotti tessili (tappeti, tappezzerie antimacchia, tessuti impermeabili tipo Goretex), pelli e pellicole fotografiche; vernici, schiume antincendio, imballaggi, mobili, eccetera.

Le conclusioni della relazione finale della commissione parlamentare sulla diffusione dei Pfas del 2022

“Infine, si fa presente che il Veneto non è l’unica area interessata da inquinamento da Pfas a livello nazionale. Lo studio Irsa-Cnr ha documentato la presenza di altri punti di pressione ambientale in Piemonte (impianto di produzione), ma anche in Lombardia e in Toscana (utilizzo industriale). In queste situazioni non risulta sia stato effettuato un biomonitoraggio campionario della popolazione residente. L’utilizzo industriale dei Pfas è quindi un problema persistente in Veneto ed in altre aree del paese. Inoltre, soprattutto alla luce della produzione di fluorurati di nuova generazione, si sottolinea l’importanza di condurre studi epidemiologici con finalità eziologica. Questa è una parte importante della prevenzione (regolamentazione della produzione e utilizzo di sostanze) ed è anche una necessaria rilettura di quanto è successo nei decenni scorsi. In conclusione, nell’ambito della regolamentazione delle soglie allo scarico e nelle acque potabili, nonostante i pareri sempre più stringenti adottati da Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare) e suggeriti dall’Istituto superiore di sanità, e in attesa di recepimento a livello nazionale, si sottolinea l’importanza di rimodulare il modello valutazione dei limiti di queste sostanze nelle acque. Si ritiene infatti che le soglie dovrebbero applicarsi a famiglie di composti, non alle singole molecole (o a una sommatoria di alcune di esse), onde evitare di trovarsi continuamente a inseguire le nuove molecole rilasciate in commercio, ma simili alle precedenti come meccanismo d’azione e struttura, e quindi presumibilmente anche come tossicità”. La strada verso “soglia zero” è ancora lunga ma non più rinviabile, ne va della salute dei cittadini e dell’ambiente, in tutte le regioni italiane coinvolte, Toscana compresa.