Recalcati incanta Lucca: “Dai muri ci salva la scuola” foto

Se la tentazione è il muro, l’antidoto è la scuola. Il desiderio della conoscenza che genera movimento verso la vita: la cultura è un corpo erotico e fa battere il cuore. Ne è convinto lo psicanalista Massimo Recalcati che ieri (15 novembre) è intervenuto in San Francesco per le Conversazioni, rassegna della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca giunta alla sua sesta edizione. E le riflessioni, a 30 anni esatti dalla caduta del muro di Berlino, stanno indagando proprio i confini, i limiti, le barriere materiali e immateriali che separano.

Rivoluzioni oltre i muri il leitmotiv di queste Conversazioni, come ha ricordato nella sua introduzione alla serata Lucia Corrieri Puliti, vicepresidente dell’ente di San Micheletto. I posti disponibili, gratuiti e prenotabili online, si sono esauriti in poche ore – tanto che il presidente Bertocchini ha deciso di aprire anche la Cappella Guinigi, per permettere ad altre centoventi persone di seguire l’evento in diretta video. E l’incontro con Recalcati ha convinto un pubblico attento e partecipe: non in pochi hanno preso appunti, con la stessa dedizione dello studente che di lì a poco dovrà dare un esame.

D’altronde lo psicanalista lacaniano ha il mestiere della parola e riesce a vincere, ogni volta, la scommessa che fa con se stesso quando entra in un’aula universitaria e trova decine di ragazzi ricurvi sul proprio cellulare: essere più interessante dei social, stabilire connessioni più attrattive dell’iperconnessione alienante che la dipendenza da smartphone porta con sé.

“La prima tentazione del muro appartiene al cuore dell’umano: non è un fenomeno che riguarda la vita analfabeta, ma la vita in quanto tale”, ha esordito Recalcati. “Siamo percorsi da due forze. Da una parte facciamo per natura, tutti, esperienza dell’invocazione dell’altro, senza il quale non siamo. Il bambino ha bisogno dell’alterità per definire se stesso e riconoscersi. Al tempo stesso, nel momento in cui il mondo ci appare per come è, come un luogo di perturbazioni ingovernabili, abbiamo paura e cerchiamo protezione: il bisogno di confine appartiene alla vita umana”. Quando mancano argini c’è schizofrenia e mancanza di identità. I confini psichici e le frontiere politiche – perché la psicologia è sempre sociale prima che individuale, parafrasando Freud – sono due facce della stessa medaglia: quando si irrigidiscono, quando perdono la loro porosità e attraversabilità, diventano muri e filo spinato.

“La necessità del confine – ha detto Recalcati – è divenuta, oggi, follia del muro. L’esigenza di protezione prevale sulla vita stessa: assistiamo al paradosso della vita che si ammala per difendere se stessa”. Un concetto che il protagonista di Lessico famigliare e Lessico amoroso declina attraverso una citazione: “Quasi 20 anni fa al filosofo francese Jean-Luc Nancy è stato chiesto di scrivere qualcosa sul razzismo. Anziché avventurarsi in un sermone, ha scelto di parlare di sé e del suo trapianto di cuore. Il libro si intitola L’intruso, sono 30 paginette che consiglio davvero a tutti di leggere. Nancy racconta di aver avuto bisogno di accogliere il cuore di un altro per non morire, di aver dovuto abbassare le proprie difese immunitarie per scongiurare crisi da rigetto: questa è una grande metafora clinico-medica”.

E, a ben vedere, c’è di più: il cuore lavora senza pause, indipendentemente dalla volontà – è uno straniero che tutti portano dentro. “La crisi di panico altro non è che l’esperienza dell’ingovernabilità del proprio cuore, della dissoluzione dei confini. Arriva quando ci si sofferma ad ascoltare il proprio battito cardiaco e ci si accorge che va da sé. Più facciamo questo pensiero, più il cuore accelera la sua corsa: ecco che abbiamo paura. La soluzione è fare amicizia col proprio cuore – ha osservato Recalcati – ed essere ospitali con lo straniero che rappresenta e che portiamo, fisicamente, dentro”. Il parallelismo è diventato subito politico: “Anche la vita della polis si gioca su questa doppia polarità di appartenenza ed erranza, di identità e di libertà, bisogno di allontanamento: la malattia arriva quando uno dei due poli prevale sull’altro. In entrambi i casi si ha paura della vita e questo è l’unico peccato che Gesù considera punibile. Sto parlando – ha detto lo psicanalista – del Vangelo, non della dottrina ecclesiale. La parabola dei talenti ne è l’esempio più chiaro: il padrone rimprovera il servo che, ricevuto un talento in dote, non lo moltiplica ma lo sotterra per paura di perderlo. Il messaggio è chiaro: la vita è salva quando è generativa”.

Eppure, storicamente, assistiamo a una fase in cui si va verso la chiusura: è un dato di fatto che il mondo occidentale stia irrigidendo i propri confini e costruendo muri. Non c’è condanna nell’analisi di Recalcati, che rimane lucida nel ricordare che il Novecento stesso ha insegnato che l’essere umano e le masse possono desiderare le catene più della libertà: le dittature nazionaliste sono state volute e per combatterle davvero, bisogna combattere prima di tutto “il fascista che è dentro ciascuno”: “Anche il navigatore più esperto e avventuroso, in mare aperto, ha nostalgia della terra. Ha bisogno di appartenere, di darsi un confine”, ha aggiunto Recalcati.

La disamina sociale è entrata quindi nel vivo: “Il muro si erige nel punto di passaggio tra due paradigmi. Il primo è quello neoliberale o libertino, che ancora ci abita e che tuttavia ha iniziato a vacillare con l’attentato alle Torri Gemelle lasciando spazio al secondo paradigma, quello securitario”. Con la globalizzazione si è affermata l’idea che l’unica forma possibile della legge sia la dissoluzione della legge stessa in favore di una dimensione illimitata di godimento. “Un’euforia folle – ha spiegato Recalcati – che si manifesta nel dire no a qualsiasi tipo di rinuncia, nella perversione che non ci sia legge in grado di limitare il godimento individuale. Anche l’educazione è messa sottosopra: se prima i bambini venivano al mondo ed erano contenuti da un sistema di regole, quello della famiglia in primis, al quale dovevano adattarsi, adesso i bambini arrivano e i loro bisogni, che poi diventano capricci, diventano le regole: è la famiglia che si adatta a loro. Non è un caso che, in un tempo che abusa della diagnosi psicologica, un bambino su due sia dichiarato iperattivo: in realtà abbiamo generazioni non più educate all’esperienza del limite, che vivono una fame bulimica di oggetti senza che gli oggetti siano in grado di saziarla mai. L’iperattività – ha osservato Recalcati – è tanto più evidente perché si contrappone all’immobilismo di genitori ed educatori”.

Quando il capriccio prende il posto della legge, il problema diventa la necessità di essere difesi e protetti ed ecco che subentra il secondo paradigma, quello definito securitario: “In questo passaggio si assiste all’irrigidimento del confine in muro. A livello individuale il fenomeno si manifesta con la chiusura patologica verso la vita, con il ritiro sociale. Ci sono giovanissimi che non vogliono mettere il naso fuori di casa, che si isolano nella loro stanza autistica per anni: in giapponese si dice hikikomori. Se prima i giovani erano disadattati perché vivevano il conflitto sociale, la contestazione delle leggi alle quali dovevano sottostare, adesso i giovani vanno verso il ritiro sociale. Diventano muri, anche con i loro corpi: si pensi all’anoressia restrittiva, al bisogno assoluto di controllo su quello che entra nel proprio corpo al punto da perderne il controllo. Ecco che il ritiro sociale sta al sovranismo come l’anoressia al protezionismo”.

E quindi? Come se ne esce? “Con la scuola, unico antidoto di massa verso la pulsione securitaria. La scuola – sottolinea Recalcati – tende all’apertura e da sempre contrasta il delirio del monolinguismo. Nella scuola frana l’orgoglio babelico di essere un solo popolo, con un solo nome. Un’arroganza che Dio punisce, nell’Antico Testamento, moltiplicando le lingue e costringendo le persone a imparare la lingue dell’altro. È nella necessità della traduzione che vive la democrazia: tradursi a vicenda è politica. E questo bisogno è connaturato alla scuola”. Uno studio della Fondazione Agnelli ha rilevato che i gruppi classe che esprimono maggiore ricchezza emotiva e cognitiva sono quelli in cui ci sono più differenze tra i bambini: più lingue, più religioni, più culture. “Certo, servono i maestri. Oggi assistiamo quasi a una presa in giro dei maestri, eppure sono gli unici in grado di operare il miracolo della trasformazione del libro, strumento principe della scuola, in un corpo erotico. Il desiderio di sapere – ha concluso Recalcati – è la vita che si accende. Pasolini nel 1975 disse che c’è droga quando c’è vuoto di cultura. Ebbene, se sostituiamo la parola ‘droga’ con la parola ‘dipendenza’, includendo quella verso l’iperconnessione che sconnette dalla vita, ecco che abbiamo una fotografia puntuale dell’oggi. Il vuoto di cultura genera desiderio di morte, stasi, assenza di movimento. La cultura è invece tensione verso, è eccitante, è salvezza”.

Elisa Tambellini

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